(M. Pinci) – Cosa succederebbe se una splendida utopia potesse anche a regalare una grande vittoria? A Pescara possono iniziare a domandarselo davvero: il lunapark riaccende le luci, Zemanlandia è tornata a illuminare il calcio italiano. Un uomo, Zdenek Zeman, e il suo marchio di fabbrica, quel quattrotretre che per lui è più di un modulo: un dogma, uno stile di vita. Non cambia Zeman. Ma sulle proprie convinzioni, e inseguendo le stesse idee di sempre, sta costruendo a Pescara la propria rinascita.
I NUMERI – Il miglior attacco per distacco di tutta la serie B con 55 reti in 25 partite, una difesa non certo impenetrabile (solo 5 squadre hanno preso più gol). Soprattutto, il primo posto solitario in campionato. Così, con i più classici marchi del suo profeta, il Pescara si è fatto interprete di successo del pensiero zemaniano. Portando tutto l’Abruzzo, distrutto soltanto quattro anni fa dal più grave sisma degli ultimi 20 anni, a sognare il ritorno nell’elite del calcio italiano, insieme a una città che aveva salutato la serie A nel ’93, quasi vent’anni fa. Un obiettivo inseguito oggi senza campioni affermati, senza volpi di categoria. Ma con le idee e la valorizzazione di giovani talenti: la fantasia di Insigne (classe ’91), come quella di Totti ai tempi di Roma, al servizio del gioco. O i gol di Immobile (’90), come quelli di Signori al Foggia e alla Lazio, per finalizzare la manovra. Ma anche tanti altri ragazzi giovanissimi, dal portiere Pinsoglio al centrale Capuano e al regista Verratti, pronti a sacrificarsi in settimana sudando sugli ormai leggendari “gradoni” che il tecnico boemo impone fin dalla preparazione estiva. Per inseguire un’utopia.
MA ZEMAN NON CAMBIA – Ma il primato non ha cambiato Zeman: solito sguardo severo di sempre, stesso volto “muto” – così lo chiamavano in Sicilia a inizio carriera – che avrebbe potuto fare da protagonista a un romanzo del suo concittadino Kafka. Ma il boemo di Praga alle “Metamorfosi” non si è mai concesso. La sigaretta immancabilmente accesa tra le labbra, la voglia di un calcio spettacolare senza il compromesso della speculazione difensiva. Anche dopo aver toccato il fondo. La storia iniziata dalle giovanili del Palermo e dal Licata, negli anni Ottanta, sboccia a Foggia: Signori, preso bambino e trasformato in campione, ma anche Baiano, Di Biagio, Padalino. La promozione storica in serie A nel 1991. Nasce qualcosa di nuovo, un calcio mai visto da queste parti, fatto di una super preparazione atletica, curata sul campetto sterrato della chiesa di San Ciro vicino allo stadio di Foggia, e di risultati ottenuti con un gioco spumeggiante, sempre in velocità. La serie “A” battendo il Parma di Sacchi, due campionati esaltanti nella massima serie, senza smettere di stupire.
L’ERA-LAZIO – Poi, la chiamata dalla capitale: la Lazio ambiziosa di Cragnotti, qualche nome importante in uno scacchiere organizzato, ma la ricetta non cambia. Solito modulo, solito gioco spettacolare, soliti gol di Signori, portato dal maestro boemo con sé a Roma. Lì, l’utopia zemaniana tocca il suo punto più alto: il secondo posto del ’95, dietro soltanto alla Juventus di Lippi. Un avversario sfidato dentro e fuori dal campo. Perché dopo aver attraversato il Tevere, passando dalla Lazio alla Roma, la sfida si sposta lontano da stadi e prati verdi. Estate ’98, ritiro con la Roma a Predazzo. E un’intervista che resterà nella storia, cambiando il destino del calcio italiano. Oltre che dello stesso Zeman: “Il calcio deve uscire dalla farmacie”, disse l’allenatore boemo. Ne nasce un’inchiesta sul doping nel calcio che travolgerà proprio quella Juve. Segnando, contestualmente, la fide dell’ascesa di Zeman. L’addio a Roma, una serie di fallimenti in serie, dal Fenerbache al Napoli, dalla Salernitana all’Avellino. Un sussulto a Lecce (secondo attacco della A dietro solo alla Juve campione), poi altri stop forzati, Brescia e ancora Lecce. Che sembrano calare il sipario sulla sua storia di allenatore.
FINE E RINASCITA – Nel 2009, infatti, la carriera di Zeman sembra arrivata all’epilogo: l’esonero con la Stella Rossa di cui era tifoso da bambino, nel settembre 2008, in seguito a tre sconfitte nelle prime tre gare con nessun gol all’attivo. Un anno intero senza calcio, senza squadre, senza una città in cui spostare il circo itinerante di Zemanlandia. E “Zemanlandia”, proprio in quell’anno, diventa il nome di una pellicola che voleva far rivivere, a distanza di 20 anni, la favola del Foggia di Zeman e Casillo, celebrandone lo splendore passato. Sembrava la lapide su una storia ormai dimenticata, diventa la prima pietra per un nuovo capitolo dello stesso libro: nell’estate 2010 Zeman torna a Foggia, ancora con Casillo, per ripercorrere un sogno. La società, appena riacquistata dall’ex patron insieme a altri imprenditori, riparte dalla C1 senza grandi ambizioni, con una squadra di giovanissimi, e nessun nome di richiamo. Ma basta la formula magica, quel quattrotretre che da quelle parti fa ancora battere il cuore, per riempire lo stadio Zaccheria: i play off per la B sfumati soltanto all’ultima giornata, miglior attacco, peggior difesa. Abbastanza per spingere il nuovo Pescara, appena promosso in serie B, a credere in lui. Nessuna ambizione particolare, solo la voglia di provare a stupire. Riscrivendo, anche, la storia del più bel perdente di successo che il calcio italiano ricordi: “Ma talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti”, ricorda spesso Zeman. Chissà che, stavolta, non possa insegnare vincendo