(A. Angeloni) Partiamo dal positivo: il risultato. Che sicuramente ti fa vivere giorni più sereni e ti aiuta a preparare meglio il tris di partite,Verona, Benevento e Udinese, che dovrà riportare la Roma tra le prime della classifica, pur dovendo recuperare la sfida con la Sampdoria. Altro aspetto del post Atletico Madrid: per una buona parte di gara, si è vista una squadra, capace di giocare compatta, umile. E ancora: non ha preso gol, aspetto fondamentale per ottenere risultati e mantenere le ambizioni future. La cura della fase difensiva, per un allenatore “offensivo” come Di Francesco, è determinante per coltivare ambizioni, in attesa di migliorare il resto.
L’IRA DI PALLOTTA Il presidente Pallotta subito dopo la gara ha rimproverato tutti: allenatore, giocatori e dirigenti. È stanco di fare queste figure: il succo del discorso. E qui veniamo ai problemi, che ci sono e sono evidenti e bisogna dare tempo all’allenatore per risolverli. La Roma dura un’ora: gioca bene, regge il campo, a un certo punto sviene. E questo è successo con Atalanta, Inter e Atletico Madrid. Con una differenza: a Bergamo non si è giocato bene nemmeno nella fase up, mentre contro Spalletti e Simeone almeno si è visto inizialmente un buon calcio. La questione fisica richiama inevitabilmente l’aspetto della preparazione, a cui Di Francesco non smette di fare riferimenti, sottolineando come, tra tutti i calciatori a disposizione, quelli che reggono i novanta minuti sono Perotti e Jesus, che hanno cominciato il lavoro con lui da Pinzolo. In generale, secondo DiFra, è stato fatto un lavoro troppo blando e questo aspetto chiama in causa anche i preparatori non suoi. La tournée americana ha consentito di giocare ma non di allenarsi con grande regolarità. E per un tecnico come lui, lo svolgimento tattico sul campo è fondamentale. La squadra pensa ancora troppo alle giocate che, ovviamente, non vengono ancora automatiche. Allenamento uguale automatismi; pochi allenamenti, pochi automatismi. E ora si giocherà tanto e ci si vedrà a Trigoria sempre meno. Questo alla lunga può essere un problema. Il messaggio per il club è partito: forte e chiaro. Pubblicamente e non. La squadra dovrà essere brava a trovare la condizione in partita e alcuni elementi (De Rossi e Nainggolan). Per gli automatismi serve anche avere la squadra al completo, cosa che fino ad adesso non è accaduta. Mancano Karsdorp (ed Emerson), su cui la Roma ha puntato e investito, Florenzi che ha appena recuperato e Schick è ancora fermo ai box, per non parlare poi di Moreno e Gonalons, che ancora non hanno giocato, Pellegrini si è visto poco. Alisson è la nota positiva, almeno stando alla partita di martedì. Dei nuovi il solo Defrel e Kolarov vanno in campo con regolarità.
INTEGRALISMI Una cosa ora possono averla capita tutti: Di Francesco non è un fesso, sa cambiare l’assetto della squadra in base alle esigenze, lo ha fatto vedere contro l’Atletico Madrid, passando dalla difesa a quattro a quella a cinque. E magari lo farà ancora, specie per dare una mano a Dzeko, lui stesso l’ha chiesta dopo la sfida in Champions: Schick è l’indiziato numero uno ad affiancare Edin. E quindi siamo al secondo aspetto su cui c’è da lavorare. 2) Attacco spuntato. La Roma fatica ad arrivare in porta. Sotto certi aspetti, Dzeko ha ragione, anche se queste esternazioni interne disturbano molto l’allenatore: lo scorso anno aveva Salah e Nainggolan alle sue spalle, poteva dialogare meglio e con più calciatori sulla trequarti, ora ha Perotti che gira alla larga, Defrel sempre sotto la linea della palla e De Rossi non verticalizza con continuità (e Gonalons lo farà?), e lui là davanti si perde un po’. Con la squadra al completo si capirà meglio se questo è da considerare un guaio strutturale o solo contingente. Per ora siamo ai problemi e alle attenuanti. Il guaio vero si presenterà quando non ci saranno più attenuanti.