(E. Menghi) – Di Francesco come Capello, la Roma di oggi come la Roma dello scudetto. Lo dicono i numeri: quindici punti in sei giornate di campionato, frutto di cinque vittorie ed una sola sconfitta, contro l’Inter. Il copione è identico, persino il ko con i nerazzurri coincide, ma allora era la quarta giornata e si giocava a novembre, a Milano, e a segno andarono Sukur e Recoba. Stessa differenza reti nel match di quest’anno, al secondo turno, con la doppietta di Icardi e la rete di Vecino dopo il gol di Dzeko. La grande differenza sta nel come è cominciato tutto, nella diffidenza iniziale nei confronti di Eusebio e dell’imperativo del 4-3-3, che poi si è dimostrato più malleabile. Lo scetticismo dopo un avvio incerto con la vittoria sofferta di Bergamo e il tracollo contro Spalletti è servito a nascondere una delle pretendenti al titolo. Nonostante i fatti dicano chiaramente che la Roma c’è, e forse non se n’era mai andata. È il secondo miglior inizio dell’era americana, il primato resta quello delle 10 vittorie di fila al primo anno di Garcia nella stagione 2013-14. Luis Enrique aveva «debuttato» con 8 punti in 6 gare, idem lo Zeman 2.0, Spalletti l’anno scorso ne aveva messi da parte 10, eppure a maggio scriveva il record di punti del club. Nella seconda stagione dell’attuale allenatore del Marsiglia il ritmo era uguale a questo e l’unico intoppo era stato il ko con la Juve.
Per Di Francesco è uno score eccezionale, in carriera ha fatto meglio solo in B però: 16 punti col Sassuolo nel 2012-13. Ma con gli emiliani in A non è mai riuscito a ripetere quei numeri e si è fermato a 12. Tempi diversi, in cui lottava per la sopravvivenza nella massima serie e si è tolto belle soddisfazioni comunque, arrivando a giocare in Europa. Alla prima esperienza in una big le pressioni non l’hanno abbattuto, anzi. E nessuno dei suoi colleghi ha saputo fare lo stesso al momento del grande salto: Allegri, nel 2010-2011, fece 11 punti col Milan (senza giocare nemmeno un big match), Sarri ne collezionò 9 col Napoli il primo anno, e pure Spalletti ai tempi del trasloco da Udine a Roma non se la cavò bene con 8 punti nelle prime 6 e un caso Cassano pronto ad esplodere. Conte si lasciò alle spalle il Siena iniziando così così con la Juventus, portata poi al trionfo: 12 punti. Eusebio batte tutti. E’ entrato a far parte di una realtà diversa rispetto alle sue abitudini, un mondo fatto di tournèe e trasferte lunghe da gestire per muscoli consumati dai continui impegni, ma ci ha messo poco a spazzar via le critiche e il campo gli sta dando ragione.
L’esame Milan ha segnato una svolta, perché vincere a San Siro non è facile per nessuno e tra le due piazze difficili è stata la sua a festeggiare al 90’, grazie a una prova di maturità per certi versi sorprendente, perché è cresciuta in poco tempo dopo l’ennesimo cambio in panchina. La squadra sa soffrire, si affida a un bomber di razza, ma non solo. Ha anche un portiere che ha saputo aspettare il suo momento e quando è uscito fuori dalla seconda fila è subito diventato un protagonista. Tre «clean sheet» (porta inviolata in trasferta) lontano dall’Olimpico non si vedevano dai tempi di Garcia, nel 2013. Alla faccia della difesa colabrodo che si temeva di vedere dopo gli imbarazzi estivi, come il 4-1 col Celta Vigo. «È presto – ha dichiarato a una cena di beneficenza a Piacenza – per parlare di scudetto ma stiamo trovando la strada giusta». E a Di Francesco manca ancora qualche pezzo per avere il quadro completo: con Karsdorp, Schick e i recuperi degli altri acciaccati, sarà difficile «snobbare» questa Roma.
fonte: Il Tempo