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Il Messaggero Il gioco di Di Francesco e le mosse della società

Di Francesco

(M. Ferretti) Non è stata la prima volta (e, vedrete, non sarà stata neppure l’ultima) che Eusebio Di Francesco sabato sera, commentando pubblicamente la partita della sua Roma, abbia premuto forte sul tasto della mancanza di tempo (oltreché di uomini) in estate per poter provare il suo calcio. Perché se tu prendi un tecnico che punta sul gioco e non suoi giocatori, gli devi dare la possibilità di fare addestramento, tanto addestramento. Sarebbe stato impossibile, è chiaro, vedere una Roma vicina al Napoli anche se Di Francesco avesse avuto tutto l’organico a disposizione fin dal primo giorno di ritiro a Pinzolo, e pure se non fosse stato costretto a volare in giro per il mondo quando invece c’era necessità di fare allenamenti su allenamenti; il sospetto, però, che qualcosa in più si poteva fare per aiutare il nuovo tecnico, quindi la nuova Roma, è molto forte. Ricordando, per inciso, che il giro del mondo non ha portato nelle casse sociali questo gran fiume di dollari (nel 2016 la tournée regalò a James Pallotta 960 mila euro). E non è un caso, al di là di qualsiasi altra considerazione, che in testa alla classifica c’è una squadra, il Napoli, che è stata tre settimane a correre, a sudare e a provare (e ripetere) schemi a Dimaro, con tutti i suoi effettivi fin dal primo minuto di ritiro.

LA FIDUCIA – Si fa presto, oggi, a dire: la Roma non gioca come il Napoli. Aspettarsi il contrario sarebbe stato da presuntosi, oppure da opinionisti a tassametro: Maurizio Sarri è al comando della squadra partenopea da tre stagioni, e i risultati si vedono; Di Francesco è sulla panchina della Roma da 100 giorni, e si vede pure quello. Qui si sta parlando di gioco, che porta punti, autostima e mentalità. La Roma, sotto questo aspetto, è molto distante dalla capolista, ma non è l’unica. Tutto ciò, però, non deve indurre nella tentazione di concedersi alla magra consolazione della pluralità, ma deve invece aiutare a valutare, a capire cos’è oggi la Roma. Che, per dirne una, deve ancora mettere in campo due suoi titolari (Schick e Karsdorp) e che, per mille motivi, non ha avuto la possibilità di lavorare come, quanto e con chi avrebbe voluto il suo allenatore. S’era detto, mesi fa, che per la buona riuscita del Progetto DiFra sarebbe stata indispensabile la costante, incrollabile protezione della società nei confronti del tecnico arrivato da Sassuolo: non può essere (e, in realtà, non lo è) una sconfitta con il minimo scarto contro il Napoli delle Meraviglie ad alleggerire in tempi più o meno rapidi la fiducia verso Di Francesco. Se accadesse il contrario, più di qualcuno – non solo a Trigoria – dovrebbe guardarsi allo specchio, per scoprire il suo vero volto.

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