(V. Curcio) – Va bene la gioia e i festeggiamenti. Va bene l’unione, che ci deve essere in questi momenti, utili a rinsaldare i legami di un ambiente troppo spesso diviso e sempre meno “grande famiglia”. Ma Daniele De Rossi la festa se la gode a modo suo. Perché se non si vive la Roma tutti allo stesso modo è difficile festeggiare tutti allo stesso modo. Dopo la partita, durante l’intervista a Mediaset Premium, i conduttori gli mostrano il tweet del giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Roncone: «È in notti così che guardi il cielo e pensi: grazie di avermi fatto nascere della Roma». Seguono applausi del pubblico. Probabilmente ci si aspetta una risposta canonica: è vero, è bellissimo, la Roma è magica, eccetera, altri applausi. Ma De Rossi non è un giocatore canonico e per tre volte ripete: «Se posso permettermi, se posso permettermi, se posso permettermi…». E continua: «Non ho letto chi era il signore, non ce l’ho con lui, ma noi dobbiamo ringraziare di essere nati romanisti anche dopo i sette a uno, anche dopo aver perso contro il Napoli giocando male. Io ringrazio sempre di essere nato romanista. Quindi ricordiamocelo quando le cose andranno peggio». Seguono la risata imbarazzata del conduttore e gli applausi timidi dei presenti in studio, forse spiazzati dal giocatore reo di aver rotto la banalità del momento. Il collegamento finisce così.
La frase di De Rossi richiama quella di Di Francesco nella conferenza post-partita: «È un momento che mi godo con piacere, ma so benissimo che ci potrebbero essere anche momenti differenti». E in quei momenti differenti, che speriamo arrivino più tardi possibile, chi si sentirà orgoglioso di essere romanista? Ma soprattutto, chi avrà la pazienza di dare fiducia alla squadra? Ci saranno altre “dimissioni” di tifosi appartenenti al mondo dello spettacolo? De Rossi non ha la memoria corta e sa che la sua Roma negli scorsi anni ha dovuto incassare i colpi bassi da parte di numerosi personaggi che gravitano intorno al suo ambiente. Gli stessi personaggi che dopo partite come quella di martedì devono, per forza di cose, disseppellire la bandiera giallorossa e mostrarsi convinti e soddisfatti di quanto dimostrato dalla squadra. Non è facile essere un capitano della Roma romano e romanista. Non era facile per Totti, che pure è stato il giocatore più forte nella storia della Roma, non lo è per De Rossi, che ha dovuto inghiottire anni di voci, calunnie e chiacchiere da bar sulla sua vita privata. Non è facile rappresentare una città pronta a commentare ogni tua singola azione, aiutata da quel grande Bar dello Sport che sono i social network applicati al calcio.
De Rossi accetta la sfida di essere capitano ma non può accettare i “volemose bene” dopo le grandi vittorie, se la quotidianità è all’insegna del “volemose male”. Perché lui romanista ci è nato e lo è stato sempre, esponendosi nei momenti difficili e caricandosi di responsabilità anche quando la fascia da capitano non gli stringeva ancora il braccio. E pensare che col Chelsea sembrava dovesse restare in panchina, con Gonalons dato nell’undici titolare. Ma Di Francesco lo ha spiegato: in campo c’è andato chi si è guadagnato la Champions l’anno scorso. Un riconoscimento. Mentre sua figlia sedeva in tribuna con i figli di Totti, DDR è sceso in campo e si è reso protagonista di una prestazione imponente che ha dato sicurezza ai compagni di squadra e l’ha tolta al centrocampo inglese. Con la fascia al braccio ha guidato la squadra come un condottiero nella partita numero 300 della storia della Roma europea. Che poi, con quella barba che si allunga ogni settimana, sembra sempre più Leonida nel famoso colossal americano.
Fonte: il romanista