Non è scritto nel Dna, ma poco ci manca. Il tifo per la propria squadra del cuore infiamma, fa esultare, fa piangere, divide e soprattutto unisce. Con un legame talmente forte da poter essere accostato a quello tra i parenti stretti. A scoprirlo, e raccontarlo sulle pagine della rivista Scientific Reports, un’équipe di neuroscienziati del D’Or Institute for Research and Education (IDOR), coordinata da Jorge Moll: i ricercatori hanno condotto, servendosi di sofisticate scansioni cerebrali, un’analisi del senso di empatia che si genera tra tifosi, scoprendo le aree cerebrali coinvolte nel processo e svelando, per l’appunto, che si tratta delle stesse regioni che si attivano quando si compiono scelte altruistiche o si interagisce con parenti stretti.
· TIFO E SOLDI: L’ESPERIMENTO
“L’attaccamento a un determinato gruppo culturale – spiega Moll – è una caratteristica peculiare degli esseri umani, che riteniamo essere fondamentale per la sopravvivenza. È per questo che capire le sue origini fisiologiche è così importante”. Effettivamente, negli ultimi decenni diversi studi hanno messo in evidenza un processo apparentemente ovvio, ovvero come e perché nei processi decisionali l’essere umano tenda a beneficiare coloro che appartengono al suo stesso gruppo culturale. Nel lavoro appena pubblicato, gli autori hanno reclutato 27 tifosi delle quattro squadre di calcio più popolari in Brasile e li hanno sottoposti a risonanza magnetica funzionale chiedendo loro di decidere se donare una somma di denaro a tifosi che non conoscevano della stessa squadra, a non tifosi, sempre sconosciuti, o se tenere per sé il denaro. La risonanza magnetica funzionale è un esame di imaging in grado di mostrare, in tempo reale, quali aree del cervello si attivano in risposta a determinati stimoli e decisioni.
· IL SENSO DI APPARTENENZA
Il tifo per una particolare squadra di calcio è naturalmente solo un fenomeno preso come esempio per analizzare uno scenario più ampio, ossia le motivazioni che spingono a scelte più o meno altruistiche: “I tifosi – spiegano ancora gli scienziati – costituiscono un buon esempio di gruppi culturali coesi e quindi ci forniscono un’opportunità unica di indagare le dinamiche dell’appartenenza a un gruppo”. L’indagine ha mostrato, anzitutto – e poco sorprendentemente, c’è da ammetterlo – che i volontari tendono a beneficiare più volentieri i tifosi della propria squadra rispetto ai non tifosi, anche se (il che è ancora meno sorprendente) la prima preferenza è per tenere il denaro per sé.
· IL CERVELLO E L’ALTRUISMO
Cosa accade nel cervello quando si prendono queste decisioni? Le scansioni hanno mostrato, in tutti e tre gli scenari, un’attivazione significativa della corteccia mediale orbitofrontale, area del cervello che gioca un ruolo critico nei processi decisionali e nella valutazione degli stimoli esterni. Ma è emerso anche dell’altro: gli scienziati hanno notato, solo nei soggetti che avevano deciso di donare il denaro ai tifosi della propria squadra del cuore, anche un’attivazione della cosiddetta area subgenuale del giro cingolato, una zona del cervello notoriamente collegata alla regolazione dell’appetito, del sonno, dell’umore e dell’ansia, nonché alla formazione dei ricordi e al senso di autostima. L’aspetto più interessante della questione è che studi precedenti avevano mostrato che l’area subgenuale si attiva in particolar modo quando si prendono decisioni altruistiche, come donazioni per enti di beneficenza o atti di affetto verso i propri familiari. È questo che ha portato gli scienziati a inferire che l’altruismo tra tifosi della stessa squadra è simile, almeno a livello cerebrale, a quello che si registra tra parenti stretti o a quello collegato ad azioni benefiche.
“La comprensione dei meccanismi neurali coinvolti nelle dinamichedi appartenenza a un gruppo”, concludono gli scienziati, “può gettare le basi per il trattamento di problemi clinici come il comportamento antisociale e altri disturbi psichiatrici, tra cui, per esempio, l’aggressività e i comportamenti violenti negli stadi”.
Fonte: repubblica.it