(A. Austini) Un piccolo ripasso di storia romanista. Prima Dino Viola è diventato il «bagarino», nonostante avesse portato la Roma a un soffio dal trono d’Europa. Ma i prezzi allo stadio erano lievitati e la competitività della squadra ridimensionata al cospetto del Milan di Berlusconi e degli olandesi, l’Inter di Pellegrini e dei tedeschi e il Napoli di Ferlaino e Maradona. La popolarità di Ciarrapico tra gli ultras era dovuta alle corsie preferenziali concesse per i biglietti: una triste e breve parentesi.
Poi è toccato a Franco Sensi subire la contestazione, reo di aver definito i curvaioli «quaranta straccioni pagati da Moggi» e di perdere tutti i confronti sul mercato con la Lazio di Cragnotti. Lo scudetto del 2001 ha rappresentato la reazione e la rivincita di Sensi, ma ha riparato solo in parte lo strappo. E indebitato il club. Quindi il coro della Sud ha cambiato solo il nome, con quello della figlia: «Rosella Sensi bla bla bla» si cantava ogni domenica all’Olimpico, pregando che la «dottoressa» commissariata da Unicredit vendesse quanto prima la società.
Adesso, più o meno da quando si è comprato la Roma, è il turno di Pallotta. La cronaca delle ultime ore è solo il capitolo di una storia piena di incomprensioni, odio da una parte, sdegno e incredulità dall’altra. Venerdì notte alcuni tifosi hanno attaccato degli striscioni contro il bostoniano a Tor di Valle, la zona dove sorgerà il nuovo stadio, e su alcuni muri della città sono comparse scritte dello stesso tenore. Gli danno del «boia», del «perdente» e persino della «spia», visto che giovedì scorso in un convegno a Londra Pallotta ha ricordato di aver pagato di tasca sua le telecamere con scanner facciale all’Olimpico, per individuare i responsabili di incidenti e comportamenti contro le regole in curva. Ha omesso di dire che fu la polizia a ordinare al Coni l’installazione dei dispositivi, il cui costo è stato poi girato a Roma e Lazio. E il paradosso dei paradossi è che quell’incontro con l’allora capo della polizia Pallotta lo aveva chiesto per ottenere la rimozione delle barriere nelle curve. Sottolineare nello stesso convegno, un po’ superficialmente, come i problemi di sicurezza siano molto più seri a Roma e a Napoli piuttosto che a Milano non è andato giù ad altri tifosi.
E il gruppo dominante della Sud ieri ha scritto una lettera di fuoco contro il presidente, in cui si scrive addirittura: «Non vogliamo il nuovo stadio». Pallotta non è qui ma ha saputo e letto quanto successo a Roma. Lo descrivono come allibito, tra l’amareggiato e il furioso, pronto a esplodere. Non si capacita di come i suoi discorsi possano essere stati travisati fino a questo punto, di come vengano tradotti in Italia e degli insulti che riceve dai romanisti che lo osteggiano. La colpa più grande che gli viene attribuita è quello zero nella casella dei titoli vinti, un dato di fatto. Come lo sono i piazzamenti consecutivi dal 2014 a oggi (tre secondi posti e un terzo) in campionato e la crescita in Champions. Non portano trofei ma certificano un nuovo status che solo la Roma di Viola ha mantenuto per un periodo così lungo. Arrivando poi a vincere. Pallotta spera di condividere quanto prima con Dino uno scudetto, oltre agli insulti. E di realizzare il sogno dello stadio di proprietà pensato per primo dallo stesso Viola. A meno che non decida di mandare tutti al diavolo.