El Coco è diventato uomo. Erik Lamela ha uno sguardo diverso dai tempi della Roma: sbarcò nella Capitale nel 2011, all’età di 19 anni, ed era un ragazzo alla ricerca del futuro. Due stagioni con il club giallorosso, poi, nel 2013, il trasferimento al Tottenham, in una Londra tutta da scoprire e con una lingua inglese tutta da imparare. Pallino di Walter Sabatini, stimato da Franco Baldini: chi guarda al talento puro non poteva rimanere indifferente di fronte a Lamela. Ma il calcio d’Oltremanica e le botte della vita hanno costretto Erik a crescere in fretta e a capire che il talento da solo non basta: infortuni seri, due operazioni alle anche, fino alla notizia peggiore, il gravissimo incidente capitato nel dicembre 2016 al fratello Axel, oggi 21 anni. Un tuffo in piscina, a Buenos Aires, ha paralizzato Axel per diversi mesi. Il recupero è faticoso, ma, come ha raccontato Erik al Guardian «i dottori hanno detto che un giorno potrà tornare a camminare. Dipende dal lavoro di rieducazione e dalla sua forza di volontà. Il percorso è lunghissimo. Bisogna avere pazienza». L’incontro con Lamela, a una settimana dalla sfida di Champions con la Juventus, nell’atmosfera ovattata del centro tecnico del Tottenham, parte da qui.
Storie come quella di Axel cambiano la vita anche a chi gli sta intorno.
«Quando c’è la salute, per te e per le persone che ti stanno accanto, non capisci quali siano le vere priorità. La salute è il bene supremo. Basta un attimo, un secondo, a sconvolgere un’esistenza. Ora guardo al calcio con un occhio diverso. È la mia passione di sempre, la mia professione, la fonte dei miei guadagni, ma ho capito che stare bene fisicamente viene prima di ogni altra cosa. Axel sta continuando il suo percorso. La nostra famiglia lo sta aiutando. E la vita va avanti».
Qual è stata la storia dell’infortunio che ha tenuto Lamela lontano dai campi più di 400 giorni?
«Ho avuto problemi alle anche. I medici hanno detto che erano anomalie congenite, che mi portavo dietro dalla nascita. Con il calcio la situazione è peggiorata e sono stato costretto a fermarmi. Ho cercato di evitare le operazioni con la fisioterapia e mi sono affidato ad un fisioterapista di assoluta fiducia, Damiano Stefanini. Lavora a Roma e per questo motivo sono tornato in Italia qualche mese. La situazione è migliorata, ma non è bastato. A quel punto, ho dovuto accettare la realtà degli interventi chirurgici: ben due, non uno. Dopo è iniziato un lungo percorso di rieducazione, fino al ritorno in campo. Ora sto bene».
Un 2017 che ha segnato la sua vita.
«Già: l’incidente di Axel, i miei problemi, ma in fondo a questo 2017 ho visto la luce. Il 25 novembre è nato mio figlio, Tobias. Ha due mesi e dieci giorni. Mi piace contarli».
Altra contabilità: tra una settimana c’è la sfida di Champions in casa della Juventus.
«Io sono ottimista. Penso che possiamo farcela. Alla fine possono essere i dettagli a decidere chi passerà il turno. La Juventus è fortissima, ha giocato due finali Champions nelle ultime tre stagioni, ma anche noi siamo forti. Il 2-2 di Liverpool può darci una spinta in più».
Perché?
«Perché siamo riusciti ad ottenere un buon risultato dopo una gara complicatissima. Potevamo perderla, poi l’abbiamo pareggiata e abbiamo rischiato di vincerla. Siamo tornati sotto, ma abbiamo avuto la forza di rimetterci in piedi e di trovare il 2-2. Si sosteneva che le trasferte sui campi delle grandi squadre fossero il nostro vero limite. Forse a Anfield lo abbiamo superato».
Quali sono, visti da Londra, i pregi della Juventus?
«Sei scudetti di fila dicono che è la migliore in Italia da diversi anni e il vostro calcio è difficile, soprattutto a livello tattico. La Juve ha carattere, esperienza, una grande difesa e campioni in ordine sparso».
Proviamo a confrontarne qualcuno con i fuoriclasse del Tottenham: Kane e Higuain.
«Qui è davvero difficile rispondere. Hanno tutte le qualità dei migliori attaccanti del mondo: segnano, hanno personalità, possono decidere le partite in qualsiasi momento. Hanno il gol e il senso della porta nel sangue».
Eriksen e Pjanic.
«Anche qui è dura. Pjanic gioca in posizione più arretrata, è più regista. Eriksen copre gli ultimi 30 metri di campo, spostandosi da un lato all’altro. Hanno però molti colpi in comune: i calci di punizione e gli assist».
Buffon merita una riflessione: ha compiuto 40 anni e solo il patatrac dell’Italia con la Svezia gli impedirà di vivere il suo sesto Mondiale.
«Buffon appartiene ad una categoria particolare, la più elevata nel mondo del calcio: quella delle leggende. Quando arrivi alla sua età e ti esprimi ancora a questi livelli, il merito non è solo del talento, ma anche di un fisico eccezionale e di una grandissima professionalità».
Mai stato cercato dalla Juve?
«Mai».
L’Inter invece qualche tempo fa si fece sotto.
«Io quando gioco penso a dove sto e al Tottenham mi trovo benissimo. In questi 5 anni si è creato un bel gruppo. La squadra è in ascesa e vivo in una città che adoro come Londra».
Quanto è stato importante Pochettino in queste stagioni?
«È argentino e può capire quanto non sia facile per un ragazzo che viene da lontano ambientarsi in un Paese con una cultura differente dalla nostra. Io all’inizio ho avuto molti problemi: lingua, infortuni, calcio diverso. Dopo il primo anno, molte persone mi dissero “Erik cambia, lascia l’Inghilterra”. Io non ho voluto mollare. Per me questa era una sfida. Se sto ancora qui, ci ho visto giusto».
La nazionale argentina è ancora nei suoi pensieri?
«Un anno abbondante di inattività mi ha portato fuori dal giro, ma voglio tornarci. In questi 4 mesi cercherò di conquistare una maglia per il Mondiale».
Szczesny dopo il trasferimento alla Juve ha detto: «A Roma mi sono sentito di passaggio». È stato così anche per lei?
«Roma è stata la mia prima esperienza all’estero. A Roma mi sono sentito bene, posso dire solo questo».
fonte: Extratime