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“Io, disabile allo stadio”: all’Olimpico a tifare la Roma con Marco

Un pirata giallorosso in sedia a rotelle: ecco chi è Marco, l’orecchino d’oro a forma di lupa che pende dal lobo e il sorriso caparbio ma buono di chi sa resistere. Che storia c’è dietro a un pirata giallorosso? Cosa rappresentano quei colori per lui? «La Roma è una passione. È difficile da spiegare: se non la provi, se non la conosci, non puoi capire». In effetti Marco non ha bisogno di spiegare: è la sua vita che parla al posto suo. Nasce lontano da Roma, a Firenze, quarantasei anni fa; quella che gli capita in sorte di conoscere è una Firenze che sa essere crudele con i suoi figli, almeno quanto lo furono i suoi genitori naturali con lui. Ne “Il sentiero dei nidi di ragno” Italo Calvino scriveva una verità viscerale: «Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo». Più moderno, e di certo più romano, il fumettista Zerocalcare in “Un polpo alla gola”: «Nessuno guarisce dalla propria infanzia».

La storia di Marco

Ecco: la ferita di Marco forse non è mai guarita (chi può dire che sia guarita la sua, del resto?), ma di certo quella cicatrice gli ricorda ogni giorno che tra esistere e vivere, vittimizzarsi e agire c’è sempre una scelta da fare. È proprio quella cicatrice a far da bussola a questo pirata giallorosso e a indicargli da che parte sta il cuore. Di che ferita si sta parlando? È lui a raccontarla, con grande generosità, davanti a un piatto di tonnarelli. Quando racconta i suoi primi anni di vita per un attimo il suo sorriso da pirata buono vacilla, il ricordo di un dolore antico negli occhi: «I miei genitori non mi volevano. Mi offendevano, mi picchiavano. Poi, all’età di sei anni, mi hanno abbandonato». Già, perché i genitori di Marco erano di quelli che tra amare e assecondare la paura rifiutando il prossimo scelgono la seconda. Con lui, bambino da proteggere – come tutti i bambini, più degli altri bambini – sono stati i primi carnefici. […]

Marco è nato con la spina bifida, che è un termine tecnico per indicare che gli archi che compongono la colonna vertebrale non sono saldati, ed è una condizione che riguarda 5 nati su 10 mila, molte più persone di quante non si pensi. Capita talvolta che se la spina dorsale gioca brutti scherzi – e con essa una certa parte di (dis)umanità – si è costretti a scegliere: o ci si piange addosso e ci s’identifica col ruolo di vittima designata, o si fa come Marco, e si sviluppa una metaforica “schiena dritta” da far invidia a chiunque. L’abbandono in ospedale all’età di sei anni fa eco a certi racconti sugli spartani che abbandonavano i bambini sul monte Taigeto. Solo se sopravvivevano alle intemperie e alla crudeltà della natura potevano vivere. […]

L’acquisto dei biglietti 

Facendo un lungo giro di telefonate alle biglietterie delle varie squadre si viene a conoscenza di un fatto: la Roma, assieme all’Atalanta e al Cagliari, è l’unica squadra d’Italia che non prevede la possibilità di entrare gratis per le persone affette da disabilità al 100%. Tutte le altre sì. Basta presentare la documentazione che attesti le condizioni del tifoso in questione, e la squadra provvede all’accredito.[…]

Parcheggio e bagni

Completato il primo step (l’acquisto del biglietto), si passa al secondo: l’arrivo allo Stadio. Tra le altre cose, Marco guida. Lo fa grazie a una macchina con i comandi manuali e un complicato apparecchio sul tettuccio per la sedia a rotelle. Una volta arrivati, la sicurezza all’ingresso del parcheggio per disabili, situato allo Stadio dei Marmi, chiede di fermarsi con la macchina e di aspettare fino all’apertura. Alle 7, finalmente, dà il via libera. Il parcheggio per disabili c’è, anche se non ha un’eccessiva estensione, e per fortuna è anche piuttosto vicino all’entrata. Dopo aver presentato il biglietto si è dentro. Subito ci si accorge che lo Stadio non è pensato per i disabili. Innanzitutto per quanto riguarda i bagni. Ce ne sono tre in tutto con l’immagine della sedia a rotelle, il che significa che uno degli ingressi non ha una toilette vicina.[…]

In Tribuna Tevere

La zona dello stadio destinata ai disabili per seguire la partita è in Tribuna Tevere: una striscia di cemento delimitata da un vetro per impedire di cadere. Ecco, è proprio in Tribuna Tevere che si rende palese il fatto che l’Olimpico non è stato affatto pensato per tutti, in particolare non per i disabili. Se questi ultimi, infatti, guardano la partita vicino al vetro separatorio, le uniche sedie destinate agli accompagnatori sono quelle pieghevoli attaccate al muro, a cinque metri abbondanti di distanza dagli accompagnati. Questo, tradotto, significa che chi scrive ha guardato Roma-Benevento vicino a Marco, in parte in piedi, in parte in ginocchio sulla propria borsa, in parte accettando la sua ospitalità su un angolino di sedia a rotelle.

[…] Limitandosi a quelle che riferisce sullo Stadio, sono due le cose che non le vanno giù. La prima è il costo, proibitivo, per cui l’abbonamento dal prezzo di diverse centinaia di euro le è precluso. La seconda è un po’ più delicata. «Ecco, io ho notato che nelle riprese televisive delle partite, quando viene inquadrato il pubblico i disabili non ci sono mai, mai, mai. Non che io voglia che a essere ripresi siano i miei figli, ecco. Ma così è come se non esistesse quest’area». I media mostrano quello che vogliono mostrare: Il Romanista ha fatto la sua scelta di campo, allo stesso modo. Del resto, come diceva quello, «Gli ultimi saranno i primi». Se romanisti ancora meglio.

Fonte: il romanista

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