(A.Austini) – Due strade diverse, per certi verse opposte, che finora avevano portato allo stesso risultato: sistemarsi al vertice del campionato, ma a debita distanza dalla Juventus. Roma e Napoli si sono contese il ruolo di antagonista ai campioni dal 2013 fino allo scorso anno, ma sabato si ritroveranno una di fronte all’altra con 19 punti a separarle, che potrebbero diventare 22. Uno strappo vero e proprio: dal 2011 al 2017 in sei campionati i giallorossi hanno conquistato 440 punti contro i 448 complessivi degli azzurri, arrivando tre volte davanti ai rivali con altrettanti secondi posti nelle ultime quattro stagioni. Ma ora la squadra di Sarri ha scavato il solco e, parliamoci chiaro, lo scudetto dei campani sarebbe uno smacco per la Roma molto più dell’ennesimo titolo juventino, trattandosi di una concorrente diretta e alla portata.
La spiegazione più semplice dell’improvviso abisso scavato tra le due squadre è racchiusa in una parola: continuità. De Laurentiis ha scelto Sarri nell’estate 2015, se l’è tenuto (non senza litigi), ha visto crescere di anno in anno la squadra e adesso punta a raccogliere un risultato storico dopo tanta semina. Al contrario, la Roma è stata costretta a cambiare da Garcia a Spalletti fino a Di Francesco. E a sacrificare qualche prezzo pregiato sul mercato per aggiustare il bilancio. Conseguenza di due filosofie societarie differenti. Uno, Pallotta, rischia e investe tanto, anche a costo di non raccogliere nulla ma con la speranza di competere sempre più in alto. L’altro, De Laurentiis, ha comprato il Napoli al fallimento in serie C nel 2004 e senza mai mettere a disposizione il suo patrimonio personale ha puntato tutto sulla gestione intelligente del club.
Pallotta continua a spendere più di quanto incamera – prova ne sono i due aumenti di capitale varati per complessivi 200 milioni di euro – e di volta in volta deve sistemare i conti del club con le plusvalenze necessarie anche all’ok dell’Uefa sul Fair Play. De Laurentiis, invece, tiene sempre il bilancio in ordine e col Napoli ci guadagna: solo l’anno scorso il cda composto da lui, i tre figli, la moglie e il braccio destro Andrea Chiavello si è spartito 4.4 milioni di compensi, mentre Pallotta non ha mai preso uno «stipendio» personale dalla Roma. Strategie, mentalità e risultati economici agli antipodi, insomma. Detto che la Roma ha approvato ieri una semestrale al 31 dicembre 2017 in miglioramento grazie agli introiti ritrovati della Champions (dati ufficiali diffusi nella notte), dai rispettivi esercizi chiusi al 30 giugno 2017 si può notare che Pallotta ha dovuto gestire l’ennesimo «rosso» (-42 milioni), mentre De Laurentiis ha festeggiato un utile-record di 66 milioni di euro (su cui deve però pagare le tasse), fondamentale anche per le altre attività del gruppo: la famiglia guadagna col calcio e non più col cinema. Un risultato raggiunto grazie all’oro incamerato dalla scorsa Champions (66 milioni più 6.6 di botteghino) e… le plusvalenze. Sì, servono a tutti e non solo la Roma. Il passaggio di Higuain alla Juve ne ha generata una da 86 milioni che sommati a Gabbiadini e altre operazioni minori ha fruttato plusvalenze complessive per 104 milioni, contro i 95 ottenuti dalla Roma.
Ma il club giallorosso costa di più: il personale, la cui larga percenutale è il monte ingaggi della rosa, pesa 145 milioni contro i 101 dei partenopei (che però pagano a parte i diritti d’immagine ai calciatori). Per non parlare del mercato: da oltre un anno il Napoli non ha comprato nessun giocatore rilevante, la Roma ha invece continuato a investire su colpi onerosi tipo Schick. Un bel paradosso, leggendo la classifica.
fonte: Il Tempo