(S. Carina) Soffermandosi esclusivamente su qualche dato statistico, c’è il rischio di storcere il naso. Tredici gol (su azione) in campionato (17 considerando la Champions), appena uno ogni 182 minuti disputati (lo scorso anno la media scendeva a 103) con il 13% di realizzazione (13 su 101 tiri complessivi), a -11 da Immobile (che ha calciato 7 rigori) e – 9 da Icardi (che ha usufruito di 5 penalty). Poi analizzando meglio il campionato di Dzeko, ci si rende conto quanto i numeri, a volte, regalino una fotografia parziale di un attaccante.
È chiaro che l’Edin di 12 mesi fa con 39 reti stagionali, capocannoniere in serie A e in Europa League, rubava più l’occhio. Poi, però, c’è altro. E magari ci si accorge che l’attaccante «che non segna mai gol decisivi» – senza tornare troppo indietro nel tempo con le reti alla Juventus e alla Lazio – con Di Francesco ha già lasciato il segno con il Napoli (doppietta), l’Inter e il Milan. In Champions, ha salvato i giallorossi a Londra con un’altra doppietta, contribuito al 2-1 col Qarabag e preso per mano i compagni di squadra nel ritorno dei quarti di finale contro lo Shakhtar: primo tiro in porta al 52′ e gol. Il tutto, senza contare il lavoro che lo vede spesso e volentieri iniziare l’azione offensiva della Roma a centrocampo.
AMARCORD – A 32 anni, ha conquistato per la prima volta gli ottavi di finale di Champions. Il sorteggio è stato perfido, perché lo farà incrociare nuovamente con il Barcellona. Proprio contro i blaugrana, Dzeko era stato l’ultimo calciatore della Roma a segnare in trasferta (quello col Porto nei playoff fu un autogol di Felipe) nella competizione, prima che Manolas sfatasse il tabù col Qarabag. La serata fu nefasta (ko per 6-1): la speranza, stavolta, è che possa andare in modo diverso. Edin ci crede. E come ha ribadito dalla Nazionale (domani affronta il Senegal) «non voglio che suoni come una frase fatta, ma giocando ancora una volta da squadra possiamo fare bene, anche contro i migliori del mondo». Prima però c’è il Bologna, al quale ha già segnato due volte.
LA STRANA COPPIA – Di Francesco si affida ancora una volta a lui. Non lo ha mai messo in discussione, nemmeno quando si lamentava a settembre «per essere troppo solo» o quando a gennaio sembrava ormai partente e in una fase involutiva che non gli faceva inquadrare mai la porta avversaria. Lo disse pubblicamente a Trigoria, quando il bosniaco era ad un passo dal lasciare Roma: «Edin è al centro del mio progetto, sempre titolare e mai in panchina. Questo vi fa capire l’importanza che ha per me». Parole importanti, spese in un momento delicato, che Edin non ha dimenticato.
Dichiarazioni tra l’altro suffragate dai fatti: tolto Alisson, che è sempre stato in campo dall’inizio alla fine, l’ex City è stato utilizzato sinora per 2491 minuti (recuperi inclusi), 28 in meno di Kolarov che tuttavia, aspettando Jonathan Silva, nel ruolo non ha una riserva pronta a farlo rifiatare. Letale e spietato, ormai che ha tagliato il traguardo dei 32 anni, non lo sarà mai o lo potrà essere a periodi. Uno però che al momento è l’unico attaccante in circolazione ad aver segnato almeno 50 reti in tre dei cinque migliori campionati europei, non si trova dietro l’angolo. Ne sa qualcosa Batistuta che qualche giorno fa – ai microfoni di Rmc Sport – a domanda diretta, ha risposto così: «Dzeko? È un grande giocatore e i tifosi della Roma non possono chiedere altro. È forte, segna e trascina la squadra». Detto dal centravanti del terzo scudetto, ci si può fidare.