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DI BARTOLOMEI E ALBERTO SORDI. Vierchowod: “Ago poteva dare tanto ma qualcuno non si è ricordato di lui”; Giallini: “Mastandrea mi disse che piangevano tutti”

Agostino Di Bartolomei e Alberto Sordi

A 9 anni dalla scomparsa di Alberto Sordi e nel giorno dell’intitolazione del campo A di Trigoria ad Agostino Di Bartolomei, tanti personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo, sono intervenuti ai microfoni de “La città nel pallone” in onda sulle frequenze di RadioIes, per esprimere un ricordo nei confronti di questi due campioni del cinema e del calcio. Queste le sue dichiarazioni:

Giampiero Galeazzi:

“Io ho vissuto quella Roma lì, proprio questa mattina ho visto la foto sul Corriere dello Sport e dietro c’ero io. Diba era come sul campo, così come lo vedevate. Una volta nel ristorante di Villa Giulia, l’ho conosciuto non ho mai avuto un grande feeling personale ma nonostantre fosse schivo aveva una grande personalità, era una grande persona. Per me è stato sempre un modello non sono mai stato un suo vero amico perchè non sono riuscito a scalfire il suo essere schivo, ma una persona che stimo e di cui ho un ricordo mai sopito”. “Non scopriamo noi il mito di Alberto Sordi. Alla sua commemorazione feci una battuta proprio a regalare un giorno di vita per Alberto Sordi: io lo avrei dato volentieri. Siamo 6 milioni a Roma pensa quanti giorni per albertone. Una volta eravamo con la Rai sotto casa sua lì a via dell’Ambardam e andammo lì con tutta la truppa della Rai, ci aprì alla porta la sorella, e ci disse: “meno male siete già arrivati, la sorella ci porta in cucina, non siete lo stagnaro? Che volete Alberto?. Non dimenticherò mai la scena…”

Marco Giallini:

“Io Alberto Sordi per mia fortuna ho avuto modo di conoscerlo, mentre giravo il film “L’ultimo capodanno” di Marco Risi con Monica Bellucci, e io facevo il fidanzato. A un certo punto Alberto ci dice: “A rega mo c’avete la televisione eh”, sono andato li e gli ho stretto la mano. Alcuni fotografi hanno fatto la foto e io non lasciavo più la mano del Maetro. Per fortuna nel mio studio c’è una foto che testimonia quanto ho detto. I miei personaggi richiamano un po Gassman, un po Sordi, ma con un tipo di cialtroneria di uno che fa un po di casini e che ama le donne: un vero e proprio vitellone. A proposito di Vitelloni: questo è il film a cui mi ispiro sempre quando devo fare personaggi del genere, poi ci sono “Una vita difficile”, “Il Marchese del Grillo”. Sono veramente troppi, Albertone è Albertone e mi ricordo di aver pianto il gionro del suo funerale, e che Mastandrea il giorno prima mi aveva detto: “A Ma’ infondo ha vissuto bene” e io gli risposi “Ma a me me viene da piagne”, e lui continuò: “Vabbe ma ha vissuto bene, c’aveva una certa età”. Nemmeno un paio d’ore dopo ricevo uan telefenota con Valerio (Mastandrea ndr) , in lacrime che mi dice: “Qui stanno a piagne tutti”.

Maurizio Mattioli:

“Agostino forse è stato il capitano più importante e più grande della storia della Roma. A chi altro si può pensare? La partita che più mi ricorda Agostino, nel bene e nel male, è senza dubbio quella con il Liverpool. Me la ricordo più di tutte, come fai a non ricordare quel maggio ’84. Non credo che la gente si sia mai allontanata dalla Roma, può averla contestata come ho fatto io quando c’era da contestarla, ma i tifosi della Roma restano legati in maniera indissolubile alla squadra. Rocca aveva un’altra volonta, un’altro fisico, sembrava di gomma. Io sono romano e non ho fatto scuole: la mia scuola è stato un cinemetto in zona Pizza Fiume dove andavo a vedere ui film di albertone in bianco e nero. Ho visto la sorella di Sordi e della sua morte l’ho saputo per vie traverse. Ricordo quando mi stavo preparando a fare Mastrotitta e Alberto Sordi disse “Io teatro non lo faccio, ma quel ragazzo è bravo”. Me l’ha detto la sorella poco tempo dopo e questa è stata una eredita che mi sono sempre portato dietro”.

Alfiero Alfieri:

“Permettete un momento di commozione perché per me Alberto è stato un grande amico. L’ultima volta che l’ho visto eravamo a Villa Caffarelli nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Da quel giorno è trascorso tanto tempo ed è stato già dimenticato per un motivo solo: perché è romano. Lo conobbi per la prima volta al teatro Ambra, lui era già conosciuto e per me era una grande emozione. Mi ricordo come fosse ieri le parole che mi diceva: “Alfiè er monno dello spettacolo non è per tutti ma so sicuro da solo farai tanto, con qualche aiuto, niente”. Tanti giovani mi dicono “Alfiè non ci lascia”, mi sento tanto piccolo, ma quando i giovani ti dicono queste cose come puoi lasciare? Ricordatevi di questi grandi attori, perché non ne abbiamo più, il padre eterno se li è portati via tutti…mo c’ho na paura pure io”.

Zbigniew Boniek:

“Lo conosco abbastanza bene perché per tanti anni è stato mio avversario. Era un personaggio con tanto peso in campo e che faceva il capitano non solo per portare la squadra dal tunnel al campo. Era unpersonaggio straordinario, che era lento, ma riusciva sempre a piazzarsi nella maniera giusta e aveva un tiro favoloso. Quando sono arrivato a Roma tutti parlavano di lui e io mi sono accorto che era uno ben voluto da tutti, per la sua intelligenza tattica e di grande fiducia. Mi sarebbe piaciuto averlo ancora tra di noi, invece di vedere un campo intitolato a lui. Spesso può succedere ai giocatori che smettono. Questa apertura è dovuta a Fenucci e Baldini. Una volta quando non giocavi una partita andavi a casa e piangevi, oggi ogni giocatore si gestisce da se o attraverso il suo manager. Una volta un allenatore non doveva gestire lo spogliatoio perché c’erano undici titolari, ora invece c’è il turn over. Anche i tifosi: oggi ti urlano ogni due minuti, prima c’era la curva tutta unità che cantava cori per 45 minuti di seguito. Il calcio di oggi ha appiattito la personalità dei giocatori. Prima era diverso, erano altri soldi, altri tifosi, altri giocatori. Ci sono degli stadi al giorno d’oggi che sono veramente vuoti, io mi ricordo che anche con squadre ridicole era sempre pieno. Luis enrique? E’ bravo, preparato e giovane. Non è che perdi o vinci per colpa di un allenatore, devo dire che la Roma per crescere deve ancora assimilare quale dettame difensivo e comprare almeno due difensori più forti”.

Alessandro Vocalelli:

“Era un personaggio speciale e un giocatore straordinario. Ricordo il legame che aveva con il nostro giornale, lui era solito frequentare la nostra sede in un ambito di rispetto e stima reciproca che tempo fa era più facile da coltivare. Di Bartolomei ha lasciato un segno nel modo più originale e con una storia diversa da tutti gli altri calciatori. Ho avuto il piacere di conoscere la moglie e il figlio: ho trovato una famiglia molto serena e loro per primi si sono messi e hanno messo a riparo Di Bartolomei da ogni tipo di polemica. E’ stato bello e importante quello che è successo oggi, perché riportare Di Bartolomei nella casa della Roma è una cosa mai fatta prima. Mi scopro un uomo d’altri tempi, a me piacciono ancora i campi in pozzolana dove si giocava una volta. I campi in sintetico ora sono tutti strumenti donati dalla tecnologia. Le società hanno un valore tramite qualcosa che riescono a trasmettere tramite l’empatia e il senso d’appartenenza. Il calcio diventerà sempre più uno spettacolo prima ancora che uno sport, dove contano le bandiere e i ricordi. Coltivare la memoria delle squadre di calcio è l’unico modo per mantenere questo senso di appartenenza. Questa giornata va segnata nell’agenda delle giornate importanti e di grande felicità nella storia della Roma”.

Pietro Vierchowod:

“Mi sembra giusto che gli abbiano intitolato il campo di Trigoria. Ha dato tanto alla Roma, ha vinto uno scudetto ed è stato un ottimo compagno. Quella Roma era una grande Roma con grandi giocatori e molte qualità, sarà molto difficile rivedere una squadra così. Il calcio di prima era meglio, cioè c’era più spettacolo e ci si divertiva di più, ora è molto fisico e veloce. Lui aveva dato tanto alla Roma e qualcuno non si è ricordato di lui. Poteva dare tantissimo nel settore giovanile, ma purtroppo è successo quello che è successo. Io diverse volte l’ho frequentato fuori dal campo ed era una persona molto sensibile ed era sempre disponibile ad aiutare i compagni. La squadra di Luis enrique ha fatto della cose belle e meno belle. E’ una squadra giovane e ha avuto un primo periodo di difficoltà, poi si è ritrovata ed ora è di nuovo in calo. Forse Luis Enrique dovrebbe avere il carattere di dare una scossa alla squadra che ha un buon futuro, ma deve essere sempre spronata. Come difensore centrale riesco a contare cinque difensori che assomigliano a me, una volta eravamo la patria dei difensori.L’ho visto un po in difficoltà ma ha grande qualità fisiche. Kjaer?Avrebbe bisogno di un allenatore che gli insegni come affrontare un attaccante nell’uno contro uno”.

Fonte: RadioIes

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