(A. Angeloni / U. Trani) – Partiamo proprio dal problema muscolare: quando sarà di nuovo a disposizione?
«Sto meglio, conto di tornare nel gruppo la prossima settimana. Voglio esserci con il Milan»
.Non doveva andare in Svizzera per affrontare il Brasile, come le avevano suggerito i dirigenti della Roma: si è pentito di non aver detto no a Susic?
«La considero una vicenda passata, meglio dimenticarla. Non sono stato rispettato. Ci ho rimesso io che suo fuori e la Roma che non può contare su di me».
Lei è uno dei simboli della svolta della nuova proprietà: giocatore di prospettiva e di qualità. Quanto vi siete calati, voi interpreti, in questo copione ispanoamericano?
«Io credo che il futuro sia dalla nostra parte. Siamo una squadra giovane, ci sono molti talenti. Quest’anno è stato difficile amalgamare tutto, erano arrivati molti calciatori nuovi. Ma l’idea di calcio che propone la Roma è vincente e prima o poi esploderà, ne sono convinto».
Che cosa l’ha spinta a dire sì alla Roma?
«Innanzitutto l’esperienza che avrei fatto come uomo. Conoscere una città così, un Paese come l’Italia dopo essere stato in giro per l’Europa. È un arricchimento. Poi, mi affascinava il progetto di Luis Enrique, e ripeto, sono certo che prima o poi arriveranno i risultati».
È vero che inizialmente non voleva lasciare Lione?
«Sì, stavo bene lì, ma dopo sette anni ho ritenuto opportuno cambiare. Mi stimolava la nuova avventura. Di Lione, però, mi è mancata la Champions».
Rischia di non giocarla nemmeno l’anno prossimo: la Roma è a 7 punti dal terzo posto. L’obiettivo è ancora possibile?
«È dura, ma noi ci proviamo fino alla fine, se poi non dovesse arrivare, la vita continua e il calcio pure. Ci arriveremo la stagione seguente. Prima o poi la giocherò con questa maglia».
Quest’anno che cosa non è andato?
«La partenza nella stagione. All’inizio abbiamo sbagliato partite che la Roma non deve perdere. C’è mancata un po’ di fiducia e le altre squadre sono scappate».
Luis Enrique è l’allenatore giusto per Pjanic?
«Sì. Per me e soprattutto per la Roma. Facciamo un calcio offensivo, bello. Certo, va migliorato, ci vuole tempo».
La squadra che più somiglia alla Roma in serie A?
«Il Milan. Ha qualità e, come noi, ha sempre in mano la partita».
A proposito di talento, si è ispirato a qualcuno in questi anni?
«In passato a Zidane, per la sua creatività, per aver reso facili le giocate difficili. Ora a Xavi. Calciatore intelligente, capace di fare sempre la scelta giusta: nell’assist, nell’inserimento e al momento di tirare».
Come ruolo, attualmente, pensa di avvicinarsi a Xavi?
«Non lo so, cerco di fare il meglio. Le caratteristiche sono quelle. Mi piace toccare molti palloni, stare sempre nel vivo del gioco. La posizione che mi ha dato Luis Enrique è quella che mi piace di più. A Lione facevo il centrale, in nazionale gioco alto di destra nel 4-2-3-1, posizione che accetto ma che non ritengo mia».
Roma può diventare la tappa cruciale della sua carriera. Resterà molti anni?
«Io ho firmato per quattro anni. Poi si vedrà. Ora sto molto bene qui. Nel calcio, poi, può accadere di tutto».
È vero che le piace giocare a poker?
«Sì molto. Non al video, mi piace il tavolo, guardare gli avversari. È un gioco di intelligenza, allena la mia testa alle vittorie. Io penso solo al successo. Purtroppo qui non ho molti con cui giocare».
Altri hanno la sua stessa passione: non è stato informato o sta bluffando?.
«Allora vedremo… A Lione giocavamo la sera prima delle partite, in ritiro».
Che delusione è stata il derby?
«Parto da lontano. Roma-Cagliari, prima di campionato, sono entrato in campo e ho visto la Sud. Pazzesca. Al derby ancora di più. Mi sono emozionato, non pensavo fosse così. Tifosi di quel tipo lì ho visti solo in Bosnia, anche lì sono «crazy» per le squadre di calcio. Pazzi per il pallone. Il derby è una partita che devi vincere solo per loro, peccato non esserci riusciti. Ma la Roma è più forte della Lazio, il futuro lo dimostrerà».
Parlava della Bosnia. Quanto è legato alla sua terra?
«Nel mio paese è come se non avessi mai vissuto, sono stato pochissimo, sono andato via a un anno per via di quella stupida guerra, come lo sono tutte le guerre del mondo. Ci siamo trasferiti in Lussemburgo, dove papà ha cominciato a fare l’operaio e ha mantenuto la famiglia, mia mamma, me, mio fratello e mia sorella. Poi il mio trasferimento in Francia. In Bosnia vado ogni tanto, l’amore per la mia nazione me l’hanno trasmesso i miei genitori e io mi sento solo bosniaco».
È musulmano?
«Sì».
Come si trova un musulmano in un paese cattolico?
«Bene, in Italia come in Francia. Rispetto reciproco. Sono per una civiltà multietnica».
Roma la vive molto come città?
«Non tanto. Non ho molto tempo. Lo farò. Tra gli allenamenti, un po’ di relax a casa, qualche cena fuori e basta».
A proposito di cene, la squadra ne fa tante.
«Lo facciamo per compattare il gruppo».
Perché non invitate Borini?
«Ma lui una volta è venuto, non è obbligatorio. In genere sono tutti invitati, ci mancherebbe».
De Rossi in tribuna a Bergamo: che cosa ne pensa?
«Le regole sono uguali per tutti, titolari e gli altri. Daniele è per noi il migliore, siamo stati sfortunati che sia capitato proprio a lui. Dal primo giorno ci hanno detto di non fare ritardo. È successo anche a me, per un allenamento. Ho pagato la multa».
Quanto ha imparato da Juninho?
«L’ho studiato a lungo, impressionante. Nessuno calcia come lui. Si addestrava due volte a settimana. E io stavo con lui. Non tiro molte punizioni perché qui siamo in tanti a poterle calciare. So che posso segnare di più e che le statistiche contano. Ma la mia carriera è appena cominciata. E comunque preferisco in assoluto a pensare alla squadra e non a me stesso. Sì, come Xavi».