(B. De Vecchi) – Si aspettava una convocazione in Nazionale che non è mai arrivata. Fa niente, per quello c’è tempo. Oggi c’è un altro appuntamento per Rosi. E’ quello con la storia. Se stasera col Genoa gioca, Leo centra la centesima presenza in Serie A. E la settantesima con la Roma. Ne ha fatta di strada, questo ragazzo strappato alle giovanili della Lazio dal talento di Bruno Conti. Anzi, Brunoconti. Si apre un’altra pagina della vita. Cento volte, cento maglie tra i grandi. Ma settanta con la maglia più bella che c’è, quella che inseguiva da bambino, che avrebbe voluto indossare quando era poco più che un Pulcino, di nome e di categoria. E’ diventato della Roma dalla nascita, Rosi. Ma per poterla vestire ha dovuto attendere il 1999. Fuga dalla Lazio, in tempo per evitare di essere coinvolto nel più grande scandalo (si fa per dire, si scherza) di Eupalla: il secondo scudetto di quelli là. Arriva alla Roma, cresce, vince uno scudetto Primavera, Brunoconti lo fa esordire in prima squadra.
Accade il 29 maggio 2005, ultima giornata di un campionato a tratti drammatico, quello di Prandelli, Voeller, Delneri e Conti (più Sella) appunto. Brunoconti. Spalletti è quasi galvanizzato da questo ragazzetto di tanta corsa e buone qualità. Sono anni dolci. Rosi segna il primo in A . Succede il 24 settembre 2006, a Parma il suo è il terzo gol. Quello della tranquillità. Ma non solo. Prova l’ebbrezza di sentire la musichetta della Champions, vince una Coppa Italia e unaSupercoppa a Milano. Memorabile. Delirio puro. Poi le strade si dividono. Rosi indossa le casacche di Chievo, Livorno e Siena. Ed è nell’ultima tappa, è all’Artemio Franchi bianconero, che si completa la maturazione di Leo.
La Roma lo riporta a casa nell’estate 2010. Qui trova Ranieri. La stagione è sfortunata, il rischio è che le strade con la Roma si dividano. Di nuovo. Non accade perché Luis Enrique lo vuole con sé. Il tecnico lo promuove titolare. A destra gioca lui. Anzi, quando non capita c’è chi si stupisce: ma che è successo? Niente, semplicemente, Luis Enrique fa le sue valutazioni in base al lavoro che si svolge a Trigoria durante la settimana. E anche quando si parla della necessità per la Roma di intervenire sul mercato per prendere due terzini, questo non comporta l’automatica partenza di Leo. Perché cento presenze in A non è roba da brocchi, perché farne settanta con la Roma è un vanto e pure perché dietro la maglia c’è di più. C’è un uomo, e non è più un ragazzetto, che da qualche tempo ha scoperto il piacere dei sentimenti.
Ha una compagna con cui condivide ogni momento. E poi ha un carattere solare. Un esempio: ha preso per mano Kjaer, gli ha fatto scoprire la città, non lo ha lasciato solo quando il mondo crollava addosso al suo biondissimo amico. Gli ha detto che qua si cade spesso, perché la pressione è tanta, ma che poi ci si rialza. Ci si deve rialzare. Ma soprattutto gli ha spiegato cos’è Roma, cos’è la Roma. Cosa vuol dire essere della Roma. Dopo settanta presenze, Rosi lo sa.