Un viaggio nel cuore di Trigoria. Nelle stanze dei bottoni. In quello che fino a qualche mese fa era l’ufficio dell’ex responsabile dei ‘conti’ della Roma, Cristina Mazzoleni, e che oggi ospitaWalter Sabatini, direttore sportivo dell’era a stelle e strisce. Un‘a tu per tu’ di tre ore con l’uomo che ha progettato e costruito la nuova realtà giallorossa. Una lunga chiacchierata all’insegna di spunti e curiosità, interrotta solo per venti minuti dal gradito arrivo di Franco Baldini che, con garbo e gentilezza, bussa alla porta, saluta i presenti e chiede al fidato collaboratore di seguirlo negli spogliatoi, dove lo aspettano giocatori e tecnici.
Il tempo di lanciare uno sguardo alle pareti dell’ufficio e vedere i disegni del piccolo Santiago, sette anni ed un padre con la testa nel pallone, ed ecco che Sabatini torna al suo posto. Accende la prima sigaretta dell’incontro e alza il sipario. “Sono pronto per l’intervista: ora sono tutto per voi. Vi chiedete perché la foto dei nuovi acquisti, con tanto di cornice, non è appesa ma semplicemente appoggiata per terra? Perché non sono solo il ds dei nuovi acquisti, ma sono il ds di tutta la A.S. Roma”.
Nella prima parte di questa lunga intervista, Sabatini parla della prossima sfida contro il Palermo, un club al quale resta particolarmente affezionato, ed analizza il momento della Roma, un cantiere ancora in costruzione, ma già obbligato a fare risultati:
Domenica prossima la Roma sfida il Palermo. Per lei un nuovo tuffo nel passato, subito dopo la partita contro la Lazio…
“Si, ma questo è molto più sentito. Il Palermo è stata la mia utopia, solo parzialmente realizzata… Pensavo che potesse essere un laboratorio permanente per produrre risultati con un certo metodo e in parte ci siamo riusciti. Due anni fa abbiamo sfiorato la Champions e poi sciaguratamente la Roma ha perso con la Sampdoria. Ero davanti alla tv e tifavo vergognosamente per la Roma, ovviamente per un mio interesse personale. Dopo il primo tempo potevano stare 6 a 0 e a me serviva che la Samp non facesse i 3 punti. Anche col pareggio saremmo passati noi, per questioni di differenza reti. Dopo un finale di primo tempo da 5 a 0 avevo una leggera inquietudine, ma non potevo immaginare che sarebbe finita in quel modo: 1 a 1 e poi 2 a 1… Vedevo Ranieri in panchina che diceva ai giocatori: ‘Perdere è come pareggiare’. E io pensavo: ‘No il pareggio va benissimo!’(ride). Poi la Roma ha perso quella partita e il Palermo, la domenica successiva, non ha vinto lo scontro diretto con la Samp. Ecco, la mia utopia calcistica si sarebbe realizzata compiutamente. La Champions a Palermo era il mio obiettivo: arrivarci con un metodo e delle scelte particolari; con un allenatore demiurgo e via dicendo… Ho avuto grande rammarico per questo percorso non realizzato, ma sono stati tre anni molto belli. Anzi, l’ultimo è stato dimezzato, visto che mi sono dimesso a dicembre”.
Il suo Palermo era allenato da Delio Rossi. E’ stato un rammarico non poterlo portare alla Roma?
“No, non poteva essere l’allenatore della Roma per tutta una serie di considerazioni. Non perché non abbia lo spessore per allenare questa squadra… E’ che la Storia è Storia. Non aveva il profilo per allenare il nostro club. Il valore di Delio Rossi è da Roma e anche da Inter, ma le caratteristiche che cercavamo erano diverse”.
Zamparini ha paragonato Roma e Palermo, definendoli due ‘cantieri in costruzione’. Condivide questa affinità tra i due club?
“Il Presidente ha molto buon senso, nonostante le iperboli che ogni tanto tira fuori. E’ assolutamente vero che la Roma è in costruzione, non solo nella scelta dei giocatori: acquisizione di mentalità, voglia di giocare un certo tipo di calcio, di imporre una cultura alternativa. Non voglio tornare sulle parole ‘progetto’ o ‘rivoluzione culturale’: quando li ho usati avevano funzionalità, ora siamo dentro alle cose che stanno nascendo tutti i giorni. Le scelte che sono state fatte a monte sono state rivoluzionarie. Io prima sono sceso negli spogliatoi con Franco Baldini ed è successa una cosa che è veramente rivoluzionaria, anche se sembra minimale: tutta la squadra, che alle dieci e mezzo deve scendere in campo, alle nove e quaranta era già a disposizione. Tutti presenti, ognuno con le sue forti motivazioni ed il lavoro introduttivo all’allenamento. Sono certo che questo sia rivoluzionario: è la cultura del lavoro ed è stata trasferita ai giocatori dall’allenatore”.
Dunque, i giocatori stanno acquisendo le regole di Luis Enrique. La Roma, in percentuale, a che punto è del percorso che avete programmato?
“Il progetto tecnico-tattico è al 50%, ma le abitudini e i comportamenti ormai sono vicini alla perfezione, anche se la perfezione non è né del calcio né della vita. Siamo vicini al modello che vogliamo, diciamo che da questo punto di vista siamo all’ 80%. Merito dei calciatori e dell’allenatore: hanno un rapporto che posso dire autorevole, non autoritario… Direi empatico, un rapporto diretto. Non c’è accettazione pigra dei suoi dettami, c’è accettazione reale. I ragazzi riconoscono l’autorevolezza del tecnico. Questo ci induce a pensare che la Roma abbia un futuro importante davanti a sé, proprio con questo gruppo di lavoro”.
Chi del ‘suo’ Palermo potrebbe giocare in questa Roma?
“Non voglio fare nomi particolari, non voglio ferire nessuno. E’ inevitabile che dicendone uno andrei a colpire chi gioca qui nello stesso ruolo. Anche se il profilo e la caratura tecnica per giocare con noi ce l’hanno in tanti da quelle parti…”
Si dice che la Roma andrà valutata dopo Natale. E’ un pensiero che condivide?
“No, io aspetto la prossima partita della Roma per valutare la Roma. Andiamo un passo alla volta. Mi sembra improprio prendermi dei tempi troppo comodi: la Roma esiste, non è una promessa. La gente non deve percepirla come una promessa, è una squadra in attività e deve produrre il risultato. Ha la qualità e le caratteristiche per farlo. Sarebbe comodo parlare di programma triennale, ma la gente non vuole sentire queste cose. I tifosi sono più maturi di noi, non hanno bisogno di messaggi per stare tranquilli. Hanno capito tutto. Gli sportivi della Roma sono andati oltre la nostra ‘rivoluzione’; stanno facendo loro la vera rivoluzione, dimostrando pazienza, tolleranza, ottimismo. Sinceramente sono sbalordito: ci hanno superato e ora siamo noi a doverci adeguare a loro. La Roma non è di DiBenedetto, di Baldini, o di Sabatini: è della gente giallorossa. E la gente è già andata oltre”.
Si dibatte sul cambio di rotta intrapreso nelle ultimissime partite a livello tattico: la squadra fa meno possesso palla e più verticalizzazioni. Diciamo che si è un po’ italianizzata. Luis Enrique sta tornando sui suoi passi?
“No, è un aggiustamento fisiologico e non credo che il tecnico sottoscriva al 100% questo atteggiamento della squadra. Combattono per trovare la giusta sintesi. Con la Lazio abbiamo giocato troppe volte con palla lunga evitando il fraseggio. E’ un problema di sintesi, è quello che sta cercando Luis Enrique tutti i giorni e che troverà: è troppo motivato, preciso negli interventi, chiaro nell’esposizione del proprio pensiero calcistico per non farcela. Siamo in attesa di trovare la sintesi più proficua tra l’essere una squadra un po’ barocca ed un’altra mortifera e verticale. La stiamo cercando e sono certo che la troveremo”.
Fonte: romanews.eu