REPUBBLICA.IT (M .CROSETTI) – Vecchie bandiere arrotolate senza pietà, a volte senza neppure un po’ di rispetto per la nobile stoffa che le compone. E’ breve la memoria umana, addirittura brevissima nello sport, quasi inesistente nel calcio moderno, che tutto consuma e centrifuga. Eppure, nella lenta, estenuata fine (ma lo sarà poi davvero?) di Del Piero e Totti, e nel trattamento umiliante ricevuto dalle squadre (e dalle società) alla quali hanno dato tutto, cioè la Juventus e la Roma, c’è qualcosa di mai visto. Qualcosa che in altri tempi più rispettosi del passato e dei simboli, non si poteva neanche immaginare.
La Roma emargina il suo monumento, gli fa capire di potere fare senza. La Juve dichiara che questo sarà l’ultimo anno di Del Piero, una non-notizia in fondo, comunicata dal presidente Andrea Agnelli nel giorno dei conti in rosso, quasi a voler spostare l’attenzione: dal bilancio pieno di buchi, al capitano bianconero. Una mossa sconcertante, inspiegabile.
Ma è così difficile avviarsi al tramonto, anagrafico e logico, senza avvilirsi in questo modo? Basterebbe fare come si è sempre fatto: aspettare la naturale scadenza delle cose, abbracciarsi, ritirare la maglia, organizzare una bella partita d’addio, magari trovare un posto alla vecchia gloria dietro una scrivania oppure sul campo, tra i ragazzini del vivaio. O, ancora, salutarsi senza rancore, arrivederci e grazie. Perché, dunque, questo accanimento? E’ come se il presente avesse fretta di chiudere i conti con il passato, come se lo sentisse troppo ingombrante, e alla fine condizionante. Come se Totti e Del Piero facessero paura al presente di Roma e Juve, con la sola forza del loro passato. Materiale buono per la psicanalisi, più che per l’area di rigore.
Anche se Totti fosse davvero un po’ pigro, nessun dirigente della Roma dovrebbe permettersi di dirlo. Anche se Del Piero fosse arrivato all’estremo capolinea, nessun giovane presidente dovrebbe sottolinearne la data di scadenza, perché un fuoriclasse non è uno yogurt.
E allora, c’è una morale in questa triste favola? Forse, è solo il disagio di costruire qualcosa di degno, venendo dopo i pezzi di storia senza essere all’altezza del paragone. E’ il destino dei nani, avere paura anche dell’ombra dei giganti.
Fonte: repubblica.it