(L. VALDISERRI) – In Spagna, la domenica a quell’ora, al massimo si fa colazione. Ecco perché Luis Enrique, tra le insidie di Roma- Novara, ci mette anche l’orario di inizio: le 12.30. «È un po’ strano, non mi piace. Per noi sarà la prima volta. Sarà una partita difficile dal punto di vista mentale. Spero che i giocatori non si rilassino pensando che sia già vinta, perché non è così. Sarà una gara difficile e voglio vedere la giusta intensità».
Al di là dell’orario – che invece piace moltissimo alle famiglie, visto che nel settore dei Distinti Nord dedicato a mamme, papà e bambini sono stati venduti 3.200 biglietti – l’allenatore asturiano ha altri motivi di preoccupazione: i tanti assenti e l’emergenza in difesa, un avversario di pessima classificama in salute, un paio di dubbi di formazione (Pjanic De Rossi) che si porterà dietro fino all’ultimo.
Un discorso a parte per Francesco Totti, che ieri ha ricordato Francesco Mancini, l’ex portiere del Foggia cui segnò il suo primo gol in serie A, scomparso a soli 43 anni. Il capitano è a secco dal 21 gennaio ed è stato criticato da molti tifosi dalla memoria corta dopo il «cucchiaio fallito » a San Siro contro il Milan. Luis Enrique lo difende: «Trovo molto ingiusto giudicare un calciatore per una partita. Si deve parlare, non solo di Francesco ma di tutti i calciatori e allenatori, per quello che si fa in una stagione. È chiaro che Totti serve alla Roma e mi aspetto che sia ancora un punto di riferimento». Una cosa sola gli dà più fastidio della poca riconoscenza. Ed è il confronto con il Barcellona: «Io non cerco di giocare come il Barcellona. Il loro modello di gioco è impossibile da ripetere. Noi non abbiamo Messi, che salta cinque uomini, o Xavi e Iniesta. Io cerco un gioco adatto alla Roma e ai suoi calciatori. Accetto il paragone con il Barcellona solo se parliamo di gioco “associativo”, a cui cercano di partecipare tutti. Perché la squadra ancora non riesce a capire cosa voglio? Perché sono un cattivo allenatore. È questo che volete sentire, no? Potrei restare qui non cinque ma dieci anni e mi fareste la stessa domanda: perché non capiscono? Perché questa non è matematica, ma uno sport in cui non si possono controllare tutte le situazioni di gioco. Succede anche a Ferguson, a Manchester, dopo venticinque anni»