(P. Franchi) – Fatal Novara un cavolo, qui si parla di Luis Enrique e di cinque golletti, mica di Carlo Alberto. E soprattutto ci si interroga su un qualche dio del pallone che, rintanato chissà dove, una ne fa e cento ne pensa per tenerci nonostante tutto in corsa per la Champions. Io non riesco a capire se la succitata divinità si comporta così perché ci vuol bene, ed è quindi portato ad assolverci dai nostri peccati, o perché, maligna, sa benissimo che terza la Roma non arriverà mai, e si diverte a sottoporci a una gratuita doccia scozzese. Nell’incertezza, una modesta proposta. Non parliamone proprio, e pensiamo al Lecce. Neanche su Roma – Novara, in realtà, bisognerebbe soffermarsi troppo. Se non per dire che siamo riusciti a divertirci, e a star bene insieme allo stadio, nonostante si giocasse, a beneficio di non so quale platea televisiva orientale desiderosa di assistere in diretta a cotanto match, nel più assurdo degli orari.
E per segnalare che abbiamo assistito all’applicazione rigorosa, da parte dell’arbitro Romeo, di una regola che, nella sua demenzialità, illustra bene lo stato del calcio e magari anche quello dei nostri tempi. Ammonire un giocatore per aver dedicato il suo gol, sollevando (orrore) una maglietta, a un amico e a un compagno malato che sta combattendo per la vita, è di per sé un messaggio peggio che deplorevole. Farlo nel giorno in cui l’Olimpico è affollato di ragazzini, è un messaggio odioso. Si dice: ma è la regola, e le regole sono regole. Si risponde che questa è una visione carceraria del mondo: anche nelle carceri, le regole sono fatte per essere cambiate quando è giusto cambiarle e, in casi come questi, per essere semplicemente soppresse. Poi c’è la partita, naturalmente. Sulla difesa taccio, e ringrazio De Rossi e pure Kjaer: stavolta, viste le assenze, era già tanto che ce ne fosse una. Quanto al resto, vorrei ringraziare Simplicio detto Arnold, per averci regalato, con l’azione del suo gol, un momento gioioso di vita: con questi chiari di luna, ce n’è bisogno.
E vorrei ringraziare anche Marquinho l’acquistinho. Su di lui e su chi l’ha portato tra noi avevo sentito, persino dai miei confratelli della tribuna Tevere laterale B, gente che le ha viste davvero tutte, battute di scherno più ancora che giudizi severi. Cari confratelli, ricredetevi. Non so quanto a lungo il brasiliano resterà tra noi (personalmente spero parecchio), ma è certo che stavolta ci ha ripagato, e non solo con il gol, di un pranzo della domenica irrimediabilmente perduto. Un segno limpido delle sue capacità