(G. Dell’Artri) – Riecco Juventus-Roma. La partita delle partite, dagli anni 80, da Viola contro Agnelli, dall’Ingegnere contro l’Avvocato. E pure da prima. Forse, da sempre. La rivale più rivale, almeno per i romanisti. Perché nel frattempo gli juventini sono riusciti a farsi altri “amici”. Prima l’Inter e poi, è roba recente (vedi il gol di Muntari), il Milan. Eppure, anche se sono passati gli anni, anche se sono cambiati i protagonisti, Roma-Juventus (sì, si gioca a Torino ma è meglio scritto così) ha sempre un sapore particolare. C’è dentro tutto: ci sono stili differenti, c’è un modo quasi opposto di vedere il calcio, c’è il passato, c’è il presente, c’è qualsiasi cosa. A partire dai veri protagonisti: i giocatori. Domenica Totti e Del Piero si incontreranno per l’ultima volta da giallorosso contro bianconero. Non perché smettono con il pallone, ma perché a uno dei due non sarà concesso di vestire ancora la maglia per cui ha dato tantissimo. Quell’uno non è Francesco Totti, che della Roma sarà ancora il trascinatore e del quale di recente Luis Enrique ha detto: «È un calciatore di livello unico, non so come catalogarlo, come definirlo. Interpreta il calcio in modo diverso rispetto al 95% dei calciatori». Già, Luis Enrique. Altro protagonista di questa partita. Perché Juventus-Roma è anche la sfida tra due allenatori che vivono la partita in maniera differente. Con lo spagnolo che di arbitri non vuole discutere e preferisce parlare di calcio propositivo e che all’andata, nonostante l’amarezza per una vittoria sfuggita per un rigore non andato dentro, ha fatto i complimenti agli avversari. Juventus-Roma è anche la partita tra le due società. Una alla ossessiva rincorsa dello scudetto, non quello di quest’anno che sarebbe più che comprensibile, ma quello del 2006 macchiato indelebilmente da Calciopoli. L’altra che vuole portare a tutti i costi un modo vincente ma diverso di vedere il calcio. Lontano anni luce dalle beghe del nostro pallone. Come la lite recentissima in Lega per scegliere quando recuperare la giornata di campionato rinviata per motivi tragici e che ha provocato la reazione sdegnata e furente di Baldini. Juventus- Roma è anche (forse soprattutto) la partita dei tifosi. Intesa come differente modo di vivere una passione. Da una parte chi, di fronte alle sconfitte, lancia i cori per Luciano Moggi, dall’altra chi conia lo slogan “Mai schiavi del risultato”. Che vale sempre, anche stavolta. Anche se stavolta in palio, oltre ai tre punti, c’è la possibilità di essere (di nuovo dopo la Primavera) i primi a vincere nel loro stadio togliendogli probabilmente anche lo scudetto
QUANDO PERDONO CORI PER L’EX DG – Si parte dalle origini, dal principio che ti spinge ad essere di una squadra oppure di un’altra. Se nasci e decidi di essere della Juve, a meno che tu non sia di Torino (ma si sa che lì la maggior parte sono granata), vuol dire che scegli una squadra che vince, che comanda, che è arrogante, che sta al potere. Se invece tifi per la Roma, sia che tu sia nato e cresciuto nella Capitale, sia che la scintilla sia scoccata a chilometri di distanza, vuol dire che la tua scelta non stata di testa ma di cuore. Quello che ti palpita appena vedi il giallo e il rosso. Quello che ti fa essere ancora più romanista se le cose non vanno come ti aspetti. Quello che ha fatto scrivere alla Curva Sud lo striscione che è diventato il motto di una stagione di sofferenza in attesa di grandi cose: “Mai schiavi del risultato”. Roba impensabile per gli juventini. Basta pensare ai cori partiti dalla curva bianconera in più occasioni, su tutte lo scorso anno dopo una sconfitta contro il Milan con lo stadio a inneggiare Luciano Moggi. Ecco, basta questo, non c’è bisogno di aggiungere altro per spiegare la differenza
I PIANTI DI CONTE, LA CLASSE DI LUIS – Luis Enrique e Antonio Conte, due allenatori emergenti, quasi coetanei. In teoria potrebbero assomigliarsi e invece sono quasi agli antipodi. A cominciare dal modo di vivere la partita. Da un lato Conte, prima esagitato, poi afono. Dall’altra Luis che la partita la vive con calma, elegante, con una mano sul mento a scrutare, a capire. E poi le dichiarazioni dopo le partite. Di Conte ne vengono subito in mente due. Dopo il pareggio con il Siena tra le proteste juventine (incredibile ma vero) per un rigore non concesso: «Andare ad analizzare i singoli episodi è riduttivo – disse Conte – . Ma le immagini sono eloquenti. Mi sembra strano che in 21 partite la Juve abbia avuto 1 rigore a favore e 3 contro». Tre giornate dopo ci fu Milan- Juve, quella del colossale gol non dato a Muntari e dell’errore (tale era, ma meno evidente) su Matri. A fine partita Conte litigò in diretta tv con Boban che aveva “osato” dire: «l’errore su Matri è capibile, quello su Muntari è pazzesco». «Lo trovo inaccettabile – la replica di Conte – perché sono tutti e due errori tecnici. Zvone, togliti la maglia ». E Luis Enrique? Ve lo ricordate parlare di arbitri di errori? Mai. Anzi, dopo la partita di andata con la Juve disse semplicemente: «Bisogna evidenziare la prova della Juve, sono fortissimi».
PER IL TITOLO 2006 CHE SCENEGGIATA – C’era una volta Juventus-Roma tra Agnelli e Dino Viola. Lo Juve-Roma di oggi non è meno sentito e in casa bianconera c’è ancora la famiglia Agnelli. Dal momento del suo arrivo, il discendente Andrea ha fatto dell’assegnazione dello scudetto del 2006, quello di Calciopoli, un cavallo di battaglia. Ricorsi, controricorsi, richieste multimilionarie di risarcimento danni. Un esposto all’Uefa al quale persino il presidente ed ex bianconero Platini rispose così: «Se me l’ha mandato, Andrea Agnelli avrebbe fatto meglio a risparmiare il francobollo». E poi il “tavolo della Pace” che fu un clamoroso fallimento. Insomma una battaglia legale che ha stancato i tifosi di tutta Italia. Completamente differente l’approccio della nuova Roma. Quella degli americani, quella di Franco Baldini che da quando è tornato dall’Inghilterra ha ripetuto in continuazione di voler portare un nuovo approccio al calcio. Non si parla di arbitri, non ci si lamenta dei torti. Non lo fa l’allenatore, non lo fanno i dirigenti. In primis Baldini che l’altro giorno, di fronte alle discussioni su quando recuperare la giornata annullata per la morte di Morosini, ha tentato di riportare tutti al buon senso tuonando contro la Lega. La rivoluzione passa anche da queste cose
CACCIANO ALEX, TOTTI CHIUDE QUI – Del Piero e Totti. Due grandi campioni, due uomini uniti da un’amicizia più forte della rivalità sportiva tra le loro due squadre. Di cui sono sono stati e sono i simboli da quasi 20 anni. Le similitudini finiscono qui. Perché se entrambi sono stati e sono bandiere, solo per uno dei due il verbo potrà essere coniugato al futuro. Dal prossimo anno solo Francesco Totti rimarrà a rappresentare il senso di appartenenza ad un club, ad una maglia. Perché a Del Piero qualche mese fa è stato detto che la Juve non sarà più per lui. Il 30 giugno gli scadrà il contratto e non gli sarà rinnovato per volontà della società. Accantonato, messo da parte, anche se Del Piero non ha nessuna intenzione di smettere col calcio. Anche se continua ad essere determinante, vedi il gol alla Lazio nell’ultima giornata disputata. In una recente intervista a Vanity Fair, ha detto si essere rimasto sorpreso quando Andrea Agnelli ha annunciato la notizia. Ma con stile ha aggiunto: «Non abbiamo bisogno di polemiche, che del resto non hanno mai fatto parte della mia carriera». Proseguirà invece dove è iniziata e dove finirà la carriera di Totti che è e sarà ancora il condottiero di una Roma giovanissima. Domenica saranno di fronte per l’ultima volta, ma questa è un’altra storia…