(C.Zucchelli) – E adesso tutti invocano il ritorno del salvatore della patria. Ingeneroso, quantomeno. E anche piuttosto ripetitivo. Succede praticamente sempre perché praticamente succede sempre l’inevitabile: senza Totti la Roma va male. E non è una considerazione che basterebbe fare vedendo semplicemente le partite, è una considerazione che si fa vedendo i numeri della squadra con e senza il suo Capitano. Può diventare persino stucchevole riproporre certe tabelle ma va fatto. A futura memoria. Con lui in campo sono arrivati 41 punti in 22 partite (media 1.86) senza di lui 9 punti in 11 gare (media 0.81). Possibile quindi che una società in cui il progetto tecnico è stato rivoluzionato ormai 9 mesi fa sia ancora dipendente da un giocatore che a settembre compirà 36 anni e che ha passato più di metà della sua vita a deliziare (e prendere calci) i campi di tutta Italia? Possibile, quando questo giocatore si chiama Francesco Totti. E quindi: classe, gol, equilibrio tattico e personalità. Sempre. Contro qualsiasi avversario. Anche quando si perde, vedi la partita con la Juventus in Coppa Italia.[…] Il discorso è sempre lo stesso. E non può essere un caso se i ko più brutti di questa stagione, sotto il profilo del risultato e dell’orgoglio (quale?) siano arrivati quando Totti era in panchina o, addirittura, a casa. Firenze, Bergamo, Lecce e Torino. A futura memoria, anche in questo caso. Domenica ha saputo dell’esclusione soltanto quando è arrivato allo stadio. Non se l’aspettava. Non se l’aspettavano i compagni: Pjanic, ad esempio, che in settimana raramente era stato provato trequartista. E Perrotta, che magari credeva di avere un’occasione a partita in corso e non di giocare dall’inizio dopo 140 giorni. Quando Luis Enrique ha annunciato la formazione Francesco non ha detto niente: scelta tecnica quella dell’allenatore, reazione stupita ma silenziosa quella del giocatore. Per cui la cosa più importante era il risultato della Roma. Sperava che tutto andasse bene, si è accomodato in panchina dopo essersi preparato nella pancia dello stadio accanto a Heinze e Greco, le telecamere lo hanno cercato fin dall’inizio. Sui primi due gol non ha tradito emozioni, dopo il terzo il suo primo piano diceva tutto: occhi quasi lucidi, sguardo nel vuoto. Perplesso. Ed è dire poco. Luis Enrique, come a Firenze, gli ha risparmiato di entrare nell’allenamento serale del secondo tempo, ma non ha potuto evitargli i cori di scherno degli juventini che chiedevano a gran voce un suo gol. Cose che non lo hanno toccato, è abituato a cose ben peggiori. E a cose migliori, come l’amore della sua gente.[…]