(C. Fotia) – “Mi domando che cosa ho fatto per meritarmi tutta questa mierda!”. Disse sconsolato Luis Enrique all’indomani della seconda sconfitta nel derby.
Supponiamo che in questi giorni se lo stia chiedendo di nuovo e lo chiediamo noi a tutti coloro che in perfetta malafede ne stanno scaricando a vagonate su di lui e sulla dirigenza della nuova Roma. Intendiamoci, qui non parliamo delle critiche, anche le più aspre, che noi per primi abbiamo fatto (…), né del popolo dei tifosi che soffre, s’arrabbia, contesta, in modo composto e civile senz’altro in mente che l’amore e la passione per questi colori e questa maglia. Noi siamo con i magnifici tifosi giallorossi, li rispettiamo, li ringraziamo anche quando ci criticano e alla loro opinione, alle loro critiche, ai loro dubbi, apriamo le nostre pagine. E se oggi all’Olimpico dovesse esserci una contestazione pacifica e civile la considereremmo come un estremo atto dell’amore ferito e umiliato da troppe prestazioni orribili.
Noi denunciamo invece il circo mediatico che si è scatenato, il tiro a bersaglio, l’insulto, con il codazzo dei soliti soloni incipriati pronti a passare dal “servo encomio” al “codardo oltraggio”, contestiamo i pregiudizi travestiti da idee. Cos’è infatti se non pregiudizio puro contestare le frequentazioni “salottiere” di Franco Baldini (…), per fargli pagare il fatto di difendere le proprie scelte a cominciare da Luis Enrique. Cos’è, se non pregiudizio puro, lanciare persino un referendum per il ritorno di Zeman, dimenticando che, dal punto di vista dei risultati, l’allenatore boemo (…) ottenne nelle sue due stagioni piazzamenti assai vicini a dove probabilmente arriverà la Roma di Luis Enrique? E come dimenticare l’altalena esasperante tra partite splendide e partite da dimenticare della sua Roma? Anche lui fu contestato e alla fine lasciò, pagando il prezzo dell’incomprensione delle sue idee rivoluzionarie sul piano tattico e eversive per il sistema di potere dominante nel calcio di allora.
Oggi, per fortuna, per quanto i gufi possano gufare, non accadrà nulla di tutto questo. Ieri la Roma, come società, ha dato una prova di saldezza e di convinzione. Luis Enrique non si tocca, ha ribadito Franco Baldini, non per puntiglio narcisistico né per integralismo ideologico, ma per la semplice ragione che si è trattato di una scelta meditata, che contiene un’idea di gioco e di futuro, ancora certamente incompleta e con tanti errori da correggere, ma che non sarà abbandonata. Baldini ha detto: abbiamo le idee chiare su come e dove intervenire. E noi ci siamo fatti un’opinione su cosa pensano di fare a Trigoria per il futuro: a) intervenire per rafforzare la difesa; b) migliorare il mix tra gioventù ed esperienza per rendere più matura la squadra; c) sostenere l’allenatore valutando insieme come correggere i suoi errori.
Errori dei quali ieri, con il coraggio che anche il più acerrimo nemico dovrebbe riconoscergli, Luis Enrique si è assunto tutte le responsabilità, rispondendo a muso duro in una conferenza stampa che ormai sembra l’assalto a Fort Alamo. Più che domande, i colleghi lanciano frecce avvelenate. Fa parte del gioco, purchè dopo non ci si atteggi a vittima se a domanda cattiva corrisponde risposta cattiva. E’ sceso in campo ancheDaniele Lo Monaco, il responsabile della comunicazione, postando un twitter dal tono sarcastico, riferendosi agli insulti lanciati via etere e sui social network : “Mercenari, infami, laziali, bastardi, ma sono le stesse persone che vedo dannarsi l’anima ogni giorno per dare un futuro degno alla Roma?” . La Roma, dunque, non si toglie la maglia; non si nasconde e non tace. Risponde alle critiche e spiega le sue ragioni, ha una voglia matta di fare bene e dare qualche gioia ai suoi tifosi. Il popolo giallorosso, per quanto possa essere amareggiato, secondo noi, apprezza l’onestà di chi risponde in prima persona e vuole solo che gli si dia l’opportunità di tornare a crederci.
I gufi, no. Quelli sono nati per gracchiare e svolazzare. C’è solo un modo per spazzarli via. Cancellare, subito, oggi, l’umiliazione di Torino. (…) Ora dovete parlare voi che andate in campo. Dovete fare una sola cosa: ricordatevi che siete quella cosa immensa, che fa battere forte il cuore e che si chiama Roma. Abbiate ben impresse in mente queste parole di Luis Sepulveda, grande scrittore cileno, asturiano per origini familiari e per scelta di vita, innamorato della Roma di Luis Enrique: “La poesia c’è nella solitudine degli attimi: quando in silenzio si indossa la maglia come una preghiera. E poi il tempo sospeso dallo spogliatoio fino all’erba fresca. Ci si sente gladiatori”. Recitate queste parole dentro di voi e lavate l’onta da quella maglia.