(A.Angeloni) – Resto, non resto. Forse, non lo so. Essere o non essere. Siamo all’incertezza del “dipende”, qualche giorno dopo la certezza del “ho deciso al cento per cento”. Luis Enrique è così, non sa, è confuso, magari si confonde nel parlare una lingua non sua. Al di là delle parole, lui aspetta, pensa al Catania, poi al Cesena, quindi dirà. “Sarà importante l’incontro che avrò con la dirigenza», ammette lo spagnolo. E parliamo di fine campionato. “Sarà importante e non fondamentale”, precisa.[…]
“Ancora non so se andrò via. Dipenderà da ciò che ci diremo. Da quello che io sento. Solo dopo parlerò, questo non è il momento. È importante adesso raggiungere l’Europa League, questo è un campionato incerto, bellissimo. Se farò richieste alla società? Le mie idee le conoscono, qui sono venuto a occhi chiusi. Quando una società dà tutto non c’è da chiedere. Io ho dato il cento per cento. Il mio rapporto con il club è al primo posto, poi con la squadra e poi con i tifos”. Ecco alcune componenti che saranno analizzate in quel famoso incontro. La piazza è perplessa, i calciatori sono titubanti, la società vuole che resti (ma solo se Luis stesso ne è convinto). “Il cammino non è stato facile e ha effetti sulla mia persona e sulla mia famiglia, vedremo a fine campionato”, ribadisce. Ma intanto si fanno nomi di altri allenatori. “Non mi dà fastidio, sono tutti tecnici di altissimo livello, compreso Montella”.
Che oggi sarà suo avversario, ma di Roma-Catania non si parla mai, eppure è così importante. Ecco Luis sui tifosi contestatori. Stasera ultima all’Olimpico (i giocatori entreranno in campo con i figli per salutare la tifoseria), forse la sua ultima romana. Si aspetta fischi? “Mi aspetto un comportamento quasi perfetto del tifo. Altrimenti chiederò a mia moglie di portare uno striscione con scritto “Luis sei un grande” e dall’altra parte un altro con “Luis sei una merda”. Valutare se m’insultano in dieci è difficile. La prima cosa che mi hanno detto quando sono arrivato qua è stata “falli correre” e “fuori le palle”, che pensavo fosse “fuera los balones”. Mi dicevo: certo che bisogna tirarli fuori, a calcio si gioca con i palloni. Dopo l’ho capita. Poi ogni volta che manca Totti o De Rossi si monta un casino della Madonna. Ma chi sa come si allenano i ragazzi? Chi decide la formazione? Io. Sembra che abbia distrutto chissà quale pensiero quando ho lasciato De Rossi fuori da una lista solo perché con i calciatori avevamo raggiunto un accordo sui comportamenti. Se, però, faccio la stessa cosa con Curci non succede niente. Ma di che stiamo parlando? […]”.
Come a dire: la mia filosofia di vita (e di calcio) qui non viene capita. No, forse no. Sulla squadra. Per molti troppo “ovattata”. “A me piace proteggere sempre i giocatori. In un clima di tranquillità i calciatori possono lavorare sempre meglio. Ho messo al primo posto il formare una squadra e dopo i risultati, prima gli interessi dei ragazzi, poi i miei.[…]”