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LA REPUBBLICA Il progetto finisce in lacrime: “Chiedo scusa, ho fallito”

Sabatini Baldini Luis Enrique

(M. Pinci) – Arrivederci e grazie. Certe volte il calcio è strano, avrebbe potuto (dovuto?) dirlo la Roma aLuis Enrique, il tecnico asturiano con le idee e il cipiglio da Guardiola ma i risultati da Colantuono, Donadoni, Pioli, Montella, tutta gente che con molto meno ha fatto quanto lui, e invece è stato lui a dirlo alla Roma. Ha radunato a fine allenamento la squadra in mezzo al campo, si è seduto ormai stanco su un pallone, e abbandonata la grinta e rilassata finalmente la mascella, l´ha detto. «Non ce la faccio, me ne vado».
Da hombre orgulloso ci ha provato fino all´ultimo, voleva trapiantare a Roma i semi del calcio del Barcellona, parlava di gol, spettacolo e calcio d´attacco, ma Mister Progetto alla fine si è dovuto arrendere al fallimento del suo calcio, per ora solidamente ancorato sulle nuvole. «Ho deciso di lasciare a fine stagione. Non sono riuscito a dare il massimo, e così non sono un vantaggio per la Roma. Sono individualmente provato, non ho voglia di andare in vacanza e tornare qui da sconfitto, in una squadra dove non sono riuscito a dare il 100%. Andarmene per me è una sconfitta, perché non sono riuscito a trasmettere alla squadra la mia idea di calcio». Ha fallito Luis certo, si sarebbe potuto continuare per riprovarci, per non buttare via il lavoro fatto, perché le idee affascinano, ma nel calcio italiano si fa poca filosofia. Il suo addio risolve anche un problema a chi l´aveva scelto e a chi si era fin troppo legato a lui. Franco Baldini e Walter Sabatini, che già sapevano tutto e che presto torneranno al Montella che lasciarono partire perché non dava “discontinuità col passato”, hanno osservato la scena da lontano, dal tetto della palazzina del centro di Trigoria. Un po´ troppo cocciuto, un po´ troppo orgoglioso, un po´ troppo fedele a se stesso Enrique è però persona di schiena dritta e sinceramente affezionato alla squadra, anche a quelli che non ha fatto giocare (lo fece anche con Totti). Se n´è andato senza veleni e quasi chiedendo scusa. «Mi dispiace per aver utilizzato poco alcuni di voi, ma ero qui per fare delle scelte. Mi dispiace non essere riuscito a valorizzarvi come avreste meritato. Ma la Roma ha una grande società, vi chiedo di continuare a seguirla sempre». Silenzi e groppi in gola, mentre il mental coach, quel tipo singolare che si è fatto espellere un paio di volte dalla panchina e che avrebbe avuto bisogno a sua volta di un mental coach, riprendeva tutto col telefonino. L´aveva detto fin da quel divertente happening che fu il ritiro estivo di Brunico, niente giri di campo e corse per i boschi, ma solo esercizi allegri col pallone: «Io faccio la mia proposta se non funziona addio, così va il calcio». Ma da allora a oggi ci sono di mezzo 16 sconfitte e il disastro di una squadra che ha preso sberle sia in casa della Juve che in quella del Lecce. Forse rimarrà fermo per un po´, un anno di Roma ha provato più lui che Guardiola al Barcellona. Il pubblico romano sempre pronto ai grandi amori (si chiamino Liedholm, Zeman o Spalletti) lo aveva seguito come un guru, un Sai Baba del pallone. «Mai schiavi del risultato» scrivevano in curva. Ma alla fine gli applausi erano diventati cori di vaffa, come quelli dopo il ko in casa con la Fiorentina appena due settimane fa, quando Luis, ormai assediato, apparve fuori di sé: «Tranquilli, è un giorno in meno da adesso a quando me ne andrò». Lì si era capito tutto. Adesso i romani un po´ tirano un sospiro di sollievo, un po´ si commuovono. E salutano il calcio del futuro a modo loro, ovunque. «Grazie Luis ci hai insegnato che l´Ipad non serve solo a twittà…»

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