(S. Agresti) – Quando, nel giugno scorso, abbiamo scritto che l’ingaggio diLuis Enrique da parte della Roma non era un rischio, ma un azzardo, non auspicavamo certo il fallimento tecnico al quale abbiamo assistito durante tutta la stagione. Avevamo, però, tante e grandi perplessità. […]
Lui, l’ormai famoso Lucho, si era esibito sulla panchina del Barcellona B, dove se ottieni risultati positivi va bene, ma se non lo fai in fondo è lo stesso perché non puoi comunque essere promosso, per regolamento, nella Liga. Devi, insomma, far crescere giovani talenti (e che talenti!): non è la stessa cosa che confrontarti con il Milan o l’Inter. Avendo a cuore le sorti della Roma, ci sembrava pazzesco che una società ambiziosa, appena ripartita, prendesse una strada così impervia, piena di incertezze, anziché – ad esempio – puntare su un professionista di spessore indiscutibile (parlavamo di Ancelotti) o su un emergente sì, ma con qualche esperienza positiva alla guida di gruppi di un certo livello.
La nostra critica, per chiarire, non era rivolta personalmente al tecnico spagnolo, ma alla filosofia della scelta giallorossa. Avremmo espresso le stesse perplessità se fosse stato ingaggiato l’allenatore della squadra giovanile dell’Arsenal, o quello della Primavera del Brescia. Insomma: a quale scopo andare a pescare «un» Luis Enrique? Certamente non per le sue buone letture, perché per essere un ottimo tecnico servono tante qualità, ma non è indispensabile una biblioteca ben fornita. Ci eravamo dati un’unica possibile spiegazione: i nuovi dirigenti avevano voglia di stupire. Di fare i fenomeni, ci verrebbe da dire. Hanno sbagliato, hanno fallito. Assieme a lui.
Se lo avete dimenticato, vi ricordiamo che ci siamo sbilanciati, rischiando, anche con le scelte della Juventus: due anni fa, appena Agnelli prese Del Neri, scrivemmo chiaramente «non è l’uomo giusto»; nell’estate scorsa, mentre bocciavamo la scelta giallorossa, plaudevamo a quella bianconera di ingaggiare Conte. Okay, siamo fortunati, però le cose le diciamo prima. Per rispetto verso noi stessi e il nostro lavoro, verso i nostri interlocutori e, soprattutto, verso i nostri lettori, che sono tanti e meritano di sapere come la pensiamo. Ma non dopo, non a giochi fatti: troppo semplice.
Un anno fa, di questi tempi, avevamo avanzato qualche dubbio sull’eventuale conferma di Montella alla guida della Roma, ipotesi in realtà mai presa davvero in considerazione dai nuovi dirigenti. Non aveva ancora – pensavamo – l’esperienza necessaria, né aveva dimostrato abbastanza. Oggi, dopo averlo osservato per un anno a Catania, lo scenario è cambiato: la sua squadra ha giocato per lunghe settimane il calcio forse più bello d’Italia, il giovane Vincenzo ha fronteggiato le situazioni più difficili con grande personalità. Aveva ragione lui, nell’estate scorsa: meglio che io non sia rimasto alla Roma, non è il momento giusto. Abbiamo la sensazione che dodici mesi non siano passati invano: ora, forse, il momento giusto è arrivato.