(L. DI BARTOLO) – «Umanamente simpatico, ma un disastro come tecnico».
All’indomani dell’annuncio di addio dell’ormai ex allenatore giallorosso, Luis Enrique, nelle strade e nei bar della capitale non si parla d’altro. Quasi tutti sono d’accordo nel lodare le qualità di uomo del tecnico spagnolo ma tutti, senza quasi, esultano alla notizia del cambio in panchina. Guglielmo Bonifazi, 50 anni, nato e cresciuto a Testaccio, tutte le domeniche nella Sud con la figlia diciassettenne, è tra questi: «Va dato atto a Enrique di essersi comportato da signore. Innanzitutto ha lasciato lui, non come fanno tanti marpioni che si fanno esonerare per poi pigliare i soldi. […]».
Gli fa eco Marcello Ghenzer – il cui cognome non deve trarre in inganno: romano da ormai tante generazioni, ha ereditato dalla madre lo storico negozio di fiori di piazza Santa Maria Liberatrice, nel cuore di Testaccio – «Tanto un brav’uomo ma con la testa dura! Dico io – si domanda mentre con maestria compone un delicato bouquet di rose e mughetti – come si fa a prendere 50 gol tutti uguali e insistere con quella difesa?». Proprio la retroguardia romanista è il cruccio comune a tutti i tifosi giallorossi, bersaglio di commenti al vetriolo: «Sempre troppo alta quella difesa – si lamenta Francesco Policari, pensionato, tifoso della Roma da sempre – Mica alleni il Barcellona che puoi giocare in quel modo! Ma si è reso conto dei giocatori che aveva lì dietro?». La domanda è retorica, scuote la testa con rassegnazione. Con lui Claudio Tancredi, ex dipendente Atac, che ci va giù pesante: «Io a Enrique non gli darei nemmeno una squadra di serie B». […]
L’amico Tancredi lo interrompe con una fragorosa risata: «Ma quando ci viene Capello se non gli dai 100 milioni per rifare la squadra da capo a piedi!». A Trastevere, storico quartiere giallorosso, trovare un romanista che voglia commentare l’addio del tecnico spagnolo è facile come bere un bicchier d’acqua. O meglio, di vino: tra bar, osterie e trattorie, tutti hanno qualcosa da dire. Davide D’Emilio, giovane banchista del frutta e verdura di piazza San Giovanni della Malva, va controcorrente: «Io un altro anno glielo avrei dato, alla fine qualcosa di buono Enrique l’ha fatto, bisognava continuare il suo progetto giovani». Ma è l’unica voce fuori dal coro: dietro il bancone di uno storico pub nel cuore di Trastevere, la tv sintonizzata su un match di Coppa Libertadores, c’è Paolo Maffieri, 33 anni, che in quel progetto non ci ha mai creduto: «Dati alla mano, Enrique ha fatto male, punto. Umanamente era pure simpatico, ma il tempo l’ha avuto e l’ha usato male». […]
Che però poi precisa, mentre mostra commossa delle vecchie foto in bianco e nero in compagnia del vecchio presidente Dino Viola a cena nel suo ristorante: «Io di tecnica non ci capisco niente, io sono romanista col cuore». Per trovare l’esperto bisogna andare a trovare Vincenzo Mantini, presidente del Roma club Garbatella, ormai meglio conosciuto come il bar dei Cesaroni. Mantini, che ben conosce l’ambiente del tifo romano, non ha dubbi: «I romanisti hanno avuto pure troppa pazienza, meglio che Enrique se n’è andato: un’altra stagione così e chissà che poteva succedere – avverte severo». […]