(T. Cagnucci) – Ci sono cose che non tornano più e cose che non se ne andranno mai via. Cuore ultras qual è, Daniele De Rossi ha inconsciamente parafrasato il Paul di Febbre a 90° (…) nelle dichiarazioni dopo Cesena: “Per me innanzitutto contano i rapporti umani e quest’anno è nato qualcosa di nuovo. I risultati sì, sono stati deludenti, ma non è stata la peggiore stagione della storia della Roma. Chi lo dice lo fa soltanto per interessi personali”. Uno ci potrebbe mettere pure il punto e chiudere qui, partita, pezzo, stagione. Ha detto tutto. Soltanto che poi arriva Sabatini e ci mette pure punto, punto e virgola e punto esclamativo quando parla “dell’opera di demolizione contro la Roma in questo tentativo di voler buttar via tutto”. E non è così. Perché ci sono cose che non tornano più e cose che non se ne andranno mai via: i sorrisi limpidi di Luis Enrique a Bologna e a Napoli, sorrisi di una persona giusta, la sua esultanza ragazzina contro l’Udinese, tutte le partite a cavallo di un anno che sembrava poter andare libero nella prateria prima di arenarsi in troppi inciampi; la lettera che Stefano Borgonovo scrisse per elogiare la Roma dopo l’eliminazione con lo Slovan fermando il fotogramma del tiro di Verre finito a un centimetro dall’Europa, ma nel centro di questa storia. E, poi, soprattutto, l’eleganza e il pudore estremo di un uomo che ha dimostrato di essere tale sempre.
L’esclusione di Osvaldo a Firenze nel Paese degli Scilipoti e dei Lazio-Inter resterà a perenne memoria come una targa di una nuova resistenza: alla banalità, al così fan tutti, ai soldi per i soldi, ai contratti da far firmare prima delle scadenze. In questo ipermercato di coscienze di plastica le dimissioni di Luis Enrique sono state il più candido e sacrosanto vaffanculo a quell’Italia che tra poco si ritroverà per l’ennesima volta a fare i conti con i suoi trucchi e i suoi balocchi. C’è stata anche la Roma, certo poca, troppo troppo poca, ma siccome il calcio e la Roma evidentemente non sono solo un gioco, da tutto questo, da questo punto messo da De Rossi si ripartirà senza perdere un centimetro di niente. E’come se fossimo ancora a quel post Roma-Cagliari, De Rossi ha appena segnato l’ultimo gol della stagione ma anche il primo gol della prossima. La Roma non conosce soluzioni di continuità, la Roma non si interrompe. Siamo nella parentesi in cui si costruisce, in cui si diventa grandi accettando le sconfitte, scoprendo i limiti, scegliendo i valori giusti: i valori. Le persone. Mentre attorno la Juventus a tre stalle festeggia alzando striscioni come “con Muntari e Turone Juve campione” e trequarti d’Italia si commuove per l’addio di Del Piero dimenticando magari i suoi “sì, ma e però” nel processo per doping e tante troppe cose.
L’addio di giornata di ieri non è certo stato dell’uomo che sussurrava agli uccellini durante la pubblicità ma a un uomo, l’Evangelista Marco Cassetti, che un giorno fece felici tante persone. Si riparte da un autogol inutile di Lichsteiner come la vittoria di ieri della Roma con l’augurio però che sia un bell’augurio (…). Perché ci sono cose che non tornano più , cose che non se ne andranno via e cose che non potresti ignorare neanche se volessi. Come il 3-2 di ieri del City che, da qualsiasi parte la vediate, fa il calcio poesia. E allora – ti ritrovi con questo tuo 3-2 in mano e pensi che ci sarà un giorno – in terra, in cielo, in qualche posto – che toccherà anche a noi. Perché ci sono cose che non tornano più, cose che non se ne andranno mai via e perché c’è sempre un’altra stagione.