(S. Vernazza) – Il ritorno di Zeman, nell’anno in cui la Juve ha vinto il suo primo scudetto post Calciopoli: a suo modo, un segnale. La coscienza di Zeman: nessuno come lui ha fustigato il nostro calcio col senno di «prima» (con quello di «poi» sono capaci tutti). Il Boemo snocciolava nomi e magagne quando la maggioranza stava allineata e coperta. Si è fatto molti nemici, gli juventini lo detestano, ma chi ama il calcio nella sua essenza percepisce Zeman come se fosse Zorro. Zeman è ritornato in A con una squadra bellissima come questo Pescara 2012, duplicato del Foggia zemaniano dei primi anni Novanta. Il Boemo si era perso in improbabili avventure. Lo avevamo visto sbarcare in terre straniere, a Istanbul e a Belgrado. Avevamo assistito al naufragio di Avellino. C’era stata una fiammata a Lecce, ma la tendenza pareva netta: viale del tramonto, capolinea. Ci sbagliavamo.
Zeman è risorto nella scorsa stagione, nella sua seconda volta a Foggia, quando mancò di un pelo i playoff perla Serie B e dimostrò che il suo fuoco non si era spento. Roba per amatori, però. Zeman bisognava andarlo a cercare col lanternino su satellite e digitale terrestre. L’autunno del patriarca. E invece no. A Pescara un’altra primavera. I «tagli» che affettano le difese, gli attacchi furibondi. Unica differenza, la minor propensione al «tafazzismo»: a 65 anni ha imparato a difendersi quel tanto che basta per non buttarsi via, in alcuni momenti lo abbiamo visto passare al 4-4-2. La saggezza di chi è consapevole di non aver più tempo da sprecare. A Zeman ritrovato dobbiamo riconoscenza per molti motivi. Veder giocare il suo Pescara riconcilia col calcio. E’ rassicurante sapere che dietro tanta bellezza non c’è trucco e non c’è inganno. Siamo abbastanza convinti che questa squadra sia una proiezione della Nazionale del futuro: Verratti, Insigne, Immobile, Caprari, Capuano. La meglio gioventù di oggi tirata su da un allenatore abituato a inseguire il domani. Zeman è come l’utopia, si sposta sempre più in là e costringe a muoversi.