Il gruppo degli “slavi” coinvolge il presidente del Siena, Carobbio tira in mezzo Conte e l’ex ds del Grosseto, il gip Salvini scrive che staff societari e tecnici “difficilmente potevano non essere al corrente”. Poi l’incontro pericoloso di Criscito, le parole in codice di Sculli, le telefonate di Mauri con gli “zingari”. Per il giudice il calcio è alle prese con un inquinamento etico “diffuso”. Per far finire nel verso “giusto” Lecce-Lazio, ultima giornata del campionato di serie A 2010-2011, secondo chi indaga, furono spesi 600mila euro. Li portarono in Italia due di quella che chiamano “banda degli ungheresi”, Istvan Borgulya e Laszlo Schultz. Seicentomila euro sono tanti soldi, ma diventano pochi se è vero, come calcolano gli investigatori, che la combine della partita dello stadio pugliese di Via del Mare fruttò due milioni all’organizzazione. E’ stato uno degli ungheresi che sta collaborando con gli inquirenti (interrogato per rogatoria) a confermare che anche il gruppo di cui faceva parte era collegato a Tan Seet Eng, il boss singaporiano del sistema delle scommesse e delle partite truccate. Fu sempre lui (si chiama Horvath Gabor) a raccontare quello che gli aveva detto il suo capo, Zoltan Kenesei: e cioè che in Lecce-Lazio erano coinvolte entrambe le squadre e “presumibilmente anche i capi dei club”, che chi investiga identifica con i dirigenti delle società. Si interpretano anche così, dunque, le parole del procuratore capo di Cremona Di Martino quando dice che l’inchiesta è ancora di là dal finire. A questo giro sono risultate centrali, d’altronde, le dichiarazioni dei “pentiti”, gli arrestati di dicembre: in testa Carlo Gervasoni e Filippo Carobbioche hanno tirato dentro nomi di pezzi da novanta: il primo ha citato “il presidente del Siena”, il secondo il tecnico del Siena, cioè Antonio Conte, diventato nel frattempo campione d’Italia alla guida della Juventus. Un eventuale coinvolgimento “diffuso” di questi comportamenti che, se accertati, potrebbe aggravare ulteriormente una situazione già delicata sotto il profilo sportivo per le società di A e di B.
Il coinvolgimento dei “capi dei club”. La prima questione aperta è quindi quella dei “capi dei club”, come li chiama l’ungherese che ha deciso di collaborare. Alla sua dichiarazione si affianca quello che dice Gervasoni, che prima di essere arrestato era difensore della Cremonese (serie C): spiega che uno della banda degli “zingari” gli ha riferito di aver saputo che il presidente del Siena dette dei soldi a due giocatori del Modena per vincere più facilmente Modena-Siena (campionato 2010-2011, poi terminata 0-1). Il presidente del Siena, allora come ora, era Massimo Mezzaroma, che oggi infatti risulta indagato dalla Procura di Cremona. Il secondo fronte lo indica Filippo Carobbio, già noto per essere l’accusatore di Antonio Conte (“Ci disse che potevamo stare tranquilli perché c’era l’accordo con il Novara per il pareggio”). Il centrocampista, una vita tra B e C, ai magistrati risponde che siccome alla stessa riunione in cui parlava Conte c’erano anche altre figure dello staff tecnico, la società fosse al corrente dell’accordo. Anzi, aggiunge di averne parlato con Daniele Faggiano e Giorgio Perinetti, vale a dire direttore sportivo e direttore generale del Siena. Situazione complicata per la squadra toscana anche perché sono sotto la lente 7-8 partite dei bianconeri, ha spiegato la Procura. D’altronde oggi è stato perquisito anche il direttore sportivo del Brescia, Andrea Iaconi, ancora chiamato in causa da Carobbio. Quando Iaconi era dirigente del Grosseto, aveva spiegato Carobbio, incaricò Turati e Joelson a trattare con i calciatori dell’Ancona”. “I miei compagni andarono a parlare con l’Ancona – aveva aggiunto – promettendo una somma di denaro in cambio della vittoria: non ricordo se ero presente quando Iaconi chiese ai miei compagni di andare, ma ero presente in altre occasioni in cui il direttore sportivo discorreva della circostanza”. Turati e Joelson sono oggi finiti il primo in carcere, il secondo ai domiciliari.
Il gip: “Omertà forse per coprire i dirigenti”. Il gip Guido Salvini, nell’ordinanza per i 17 arresti di oggi, chiosa: “Salvo che per alcuni dichiaranti, l’atteggiamento ancora prevalente è quello dell’omertà in merito al fenomeno massiccio della manipolazione delle partite, forse anche con riferimento alle responsabilità di alcuni dirigenti e tecnici, che difficilmente potevano non essere al corrente della maggior parte delle situazioni illegali che stavano maturando intorno alle partite”. Il muro di gomma, aggiunge poco più avanti, “rende indispensabile che, almeno le prime dichiarazioni degli indagati, quasi tutti legati da rapporti più o meno stretti, siano assunte in un clima di genuinità rendendo più difficili versioni concordate”.
Gli incontri pericolosi di Criscito. Mimmo Criscito sull’altare di questa storia lascia la sua presenza agli Europei, ai quali probabilmente avrebbe partecipato da titolare. Ha pagato tuttavia quell’incontro in un’osteria di Genova, non proprio un bel biglietto da visita. Un incontro, quello, avvenuto e fotografato dalla polizia 4 giorni prima di Lazio-Genoa (14 maggio 2011, penultima di campionato di A, finita 4-2), la partita tra quelle al centro dell’inchiesta e soprattutto che pesa come un macigno nelle contestazioni al capitano della Lazio Stefano Mauri.
Il ristorante era chiuso (era pomeriggio) e al tavolo si sono seduti con Criscito, oltre a Giuseppe Sculli che sarebbe stato suo avversario qualche giorno dopo, gli ultras rossoblu ritenuti componenti della frangia più accesa – Massimo Leopizzi e Fabrizio Fileni – il pluripregiudicato (e ora in carcere) Safet Altic e l’albanese (amico di Altic) Kustim Qoshi. Chi è Altic? I magistrati lo definiscono un fiancheggiatore a Genova della cosca siciliana “Fiandaca”: è ritenuto una specie di esattore di pagamenti usurai e scommesse clandestine. I tifosi del Genoa spiegano la loro presenza così: “Andai a quell’incontro perché sapevo che Criscito avrebbe mangiato in quel ristorante. Volevo contestargli l’atteggiamento che avevano avuto al derby (Genoa-Sampdoria 2-1 dell’8 maggio 2012, due giorni prima del “summit”, ndr) e alcuni insulti che ci avevano rivolto dal campo. Davanti a quel ristorante ci tesero la mano, non gliela demmo. E tennero sempre la testa bassa: avevano qualcosa da nascondere…” spiega alle agenzie d’informazione Fileni.
Sculli e le parole in codice. Nei giorni successivi alla riunione dell’osteria chiusa Altic e Omar Milanetto (allora genoano, oggi in carcere) si incontrano, mentre Sculli effettua o riceve continue telefonate da “Sergio” (così è soprannominato Altic) con cui parla di “documenti” o “orologi”, secondo il gip Salvini un modo per nascondere un linguaggio in codice (“Kaladze porta le porte!”). Per Sculli, tuttavia, il giudice ha respinto la richiesta d’arresto perché gli elementi a suo carico non sono ancora “definitivi” e non indicano con chiarezza se fosse stabilmente nell’organizzazione. Certo, il cursus honorum non manca, secondo il giudice: ci sono “significativi elementi per affermare che Sculli, nell’imminenza della partita Lazio-Genoa nel maggio 2011, abbia svolto il ruolo di “raccoglitore” di una notevole somma di denaro per alimentare la combine”. In più “non è estraneo al mondo della criminalità organizzata”: come molti sanno e come il gip ricorda, Sculli è nipote diGiuseppe Morabito, ‘U Tiradritto, capobastone di primo livello della ‘ndrangheta. E ancora: l’attuale capitano del Genoa fu già squalificato nella stagione 2001-2002. La partita era Crotone-Messina (serie B) e fu squalificato per 8 mesi dal giudice sportivo per un presunto accordo con i dirigenti della squadra siciliana per far conquistare la vittoria ai calabresi (a rischio retrocessione).
Gli “amici di Genova”. Un insieme di elementi che secondo il gip formano un quadro che lega “indissolubilmente” Sculli agli altri genoani, tanto che le prove per Sculli possono “estendersi” al gruppo genovese. Hristiyan Ilievski, uno degli “zingari”, tra i più attivi, li chiama gli “amici di Genova”: in questa definizione, secondo i magistrati, sono compresi Sculli, Milanetto, Kaladze, Criscito, oltre all’onnipresente Altic.
“Nel calcio inquinamento etico diffuso”. Scrive Salvini: “L’insieme degli atti di indagine- si pensi solo al numero dei giocatori e delle partite coinvolte e all’esistenza di accordi non solo tra singoli giocatori ma addirittura tra intere squadre – testimonia che l’inquinamento etico del mondo dei calciatori e forse anche di alcuni dirigenti non è stato episodico ma diffuso e ‘culturalmente’ accettato in spregio ai principi di lealtà sportiva nei confronti dei tifosi innanzitutto”. “Per tale ragione – prosegue il gip – non è sbagliato affermare che trafficanti come Ilievsky o gli ungheresi di Kenesei Zoltan, e i loro referenti asiatici, non abbiano introdotto il virus della corruzione in un ambiente pulito ma abbiano stimolato, fornito strumenti operativi e moltiplicato scelte di disonestà sportiva già mature: in sostanza abbiano seminato in un campo che era già dissodato e pronto ad accoglierli”.
“Per molti sono fatti veniali”. Il giudice Salvini cerca di rispondere alla domanda di buon senso. Perché dei calciatori che guadagnano come minimo centinaia di migliaia di euro all’anno scommettono? “Per alcuni di loro – scrive il gip nell’ordinanza – le somme ricevute a seguito della corruzione sono considerate una specie di integrazione del loro normale stipendio. Altri, pur guadagnando somme notevoli, nonostante ciò si sono lasciati trascinare dalla tentazione del facile guadagno o dall’idea che, per favorire la propria squadra, tutto sia ammissibile e niente sia illegale. Per molti calciatori, incidere sulle partite finali del campionato, quando la situazione della propria squadra è ormai chiara, è un fatto quasi scontato, un fatto ‘veniale’”. Tanto che è necessario disporre i provvedimenti d’arresto perché “i capi dell’organizzazione di Singapore sono inoltre tutti in libertà e non vi sono ragioni perché essi abbiano inteso interrompere la loro attività origine per loro di cospicui guadagni non essendo peraltro affatto escluso che essi, tramite intermediari italiani o stranieri, tentino di riprendere l’attività di alterazione e inquinamento delle competizioni calcistiche italiane”.
Le telefonate di Mauri? “Da Formello”. In questo filone d’inchiesta – che segue quelli che hanno portato agli arresti tra gli altri Beppe Signori e Cristiano Doni – i fatti più circostanziati sembrano quelli che accusano il capitano della Lazio, Stefano Mauri. Secondo i pm e il gip Mauri era costantemente a disposizione degli “zingari” per truccare le partite dietro corresponsione di denaro. Certo, precisa il giudice nell’ordinanza, lo faceva anche per una migliore posizione in classifica, però intanto lo faceva. In particolare per le due partite già citate: Lazio-Genoa e Lecce-Lazio, ultime due gare del campionato finito nel 2011.
Il capitano della Lazio teneva rapporti con gli “zingari” con una scheda “dedicata”, intestata alla fidanzata del titolare di un’agenzia di scommesse che “ospitava” le puntate dei calciatori, ma in realtà utilizzata spesso dal telefono del calciatore biancoceleste. Ma telefonava anche a poche ore dalla partita (Lazio-Genoa) e anche da una zona che coincide con la cella di Formello, dove – come gli appassionati sportivi sanno – c’è il centro sportivo in cui si allena da anni la Lazio. La maggior parte delle chiamate sono con lo “zingaro” Ilievski. Tutte circostanze rivelate ai magistrati da Gervasoni e poi verificate con l’analisi sulle celle telefoniche. Visto che tutte le strade portano a Roma, potrebbe essere una serie di coincidenze. Ma le coincidenze tornano anche nel caso di Lecce-Lazio (22 maggio 2011, 2-4). Il giorno precedente Alessandro Zamperini, considerato un reclutatore di giocatori “sensibili” alle scommesse, un passato di calciatore in C e D (tra l’altro sempre con poche presenze), è proprio a Lecce, parlerà con il solito Ilievski più volte: in particolare alle 21,30 il telefonino è “avvistato” nella cella di via Lupiae, cioè a 300 metri dall’hotel in cui dorme la Lazio.
Fonte: Ilfattoquotidiano.it