(V. Meta) – Fra i gradoni e Kant. Ha ventidue anni e i modi del bravo ragazzo cresciuto nella provincia lombarda una delle sorprese della stagione del Pescara.Simone Romagnoli è uno che deve tutto a Zdenek Zeman, il maestro che dopo averlo allenato lo scorso anno al Foggia lo ha voluto con sé anche a Pescara, dove il difensore ha chiuso la sua prima stagione in Serie B con 28 presenze, una promozione in A e la prima convocazione in Under 21, che per lui – vivaio della Cremonese prima di uno scudetto Allievi con il Milan – è anche la prima assoluta in azzurro. In attesa della laurea in filosofia (è iscritto al terzo anno alla Statale di Milano), supera alla grande l’esame Borghesiana e racconta di un altro filosofo dello schematismo, che non viene da Köningsberg ma da Praga, e che gli ha cambiato la vita.
Che annata è stata?
Bellissima, è stato un anno fantastico. Io alla fine ho giocato gran parte delle partite, siamo arrivati primi ed è stata una cosa fantastica.
Avevi mai visto tanto entusiasmo intorno a una squadra?
L’anno scorso a Foggia, con Zeman che era tornato dopo i primi anni Novanta, all’inizio c’era un entusiasmo incredibile. Ma stavolta è arrivata la Serie A.
Tu che hai seguito Zeman da Foggia a Pescara, cosa puoi dire di lui?
Adesso è facile parlare bene di lui: ha fatto bene a Foggia e vinto il campionato a Pescara, ma non è che prima non fosse bravo, anche se erano due anni che non allenava. Da parte mia ho visto che ha fiducia in me, sto benissimo con lui e poi come fa giocare le squadre lo vedete tutti.
A inizio stagione l’impressione era che l’obiettivo del Pescara fosse la salvezza. Era così?
Forse la dirigenza non si aspettava di più, lui magari sì. Noi speravamo di non retrocedere, ma adesso sarebbe facile dire “io l’avevo detto”. Io dal ritiro vedevo come si mettevano a disposizione anche i più esperti come Sansone, Sansovini, Gessa. Noi ci siamo resi conto piano piano delle nostre possibilità. Incontrando altre squadre ci rendevamo conto che potevamo vincere, anche quando magari non vincevamo, perché giocavamo meglio di tutti.
Ci racconti gli allenamenti di Zeman.
Gli allenamenti sono faticosi, sì. Oggi (ieri, ndr) avrà fatto i test, li fa sempre all’inizio e alla fine della stagione. L’allenamento tipo, diciamo la ripresa dopo una partita, prevede 45 minuti di corsa con variaziani, poi i gradoni, niente pallone. Poi dipende molto da quello che vede lui, non sempre si fanno le stesse cose, è lui che decide quando aumentare e diminuire i carichi. Ci si allena tanto, si fanno due doppie sedute a settimana e non è tanto la durata quanto l’intensità. Però sono anche allenamenti stimolanti.
Qualche volta è capitato che facesse uscire un attaccante per un centrocampista: te lo saresti aspettato?
Mah, a volte lo fa. Raramente ma lo fa, l’avrà fatto un paio di volte quest’anno.
È cambiato in questi due anni in cui hai lavorato con lui?
No, figuriamoci. Se non è cambiato in trent’anni…
Come cura la fase difensiva?
La cura per come vede lui il calcio: la linea deve salire tanto, il più possibile. Poi è normale che in campo a volte si creano situazioni che ti impediscono di farlo, ma comunque giochi sempre più alto che in altre squadre. Non stai mai basso, anche se a volte la partita ti costringe a fare determinati movimenti.
Dopo Foggia e Pescara, c’è la possibilità che l’anno prossimo lavorerai ancora con lui?
Non lo so, io sono in comproprietà fra Milan e Pescara. A oggi resto al Pescara in A.
C’è il rischio smobilitazione dopo l’addio di Zeman?
Non lo so, finché non prende una decisione è difficile dirlo. Prima che venissi qui in nazionale, lui comunque non ci ha detto niente. Ha solo festeggiato con noi.