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GAZZETTA DELLO SPORT Cicinho-shock: “A Roma birra fumo e locali”

Cicinho

(A. Pugliese) – Da beniamino a fantasma, abbracciando a lungo una depressione latente. È la parabola giallorossa di Cicinho, l’uomo che venne accolto a Fiumicino, nell’estate del 2007, come un re (oltre 500 tifosi festanti) e che se ne è andato nell’indifferenza totale. «Andavo a Trigoria e sapevo che non avrei giocato mai — si è confessato in Brasile — E allora tornavo a casa e bevevo tantissimo, di tutto. Droghe? Quelle no, non le ho mai prese. Ma solo perché sapevo che c’erano i controlli antidoping».

Alcool a go-go È la confessione shock di Cicero (chiamato così in onore di Padre Cicero, un prete salesiano che in Brasile ha molti devoti), rilasciata alla trasmissione «Esporte Fantastico», in onda sul canale brasiliano R7. Cicinho in questi giorni è in vacanza a casa sua, a Pradópolis, dove nei giorni scorsi ha partecipato ad una partita di beneficenza con alcuni ex giocatori (tra cui anche Careca). Lì, a fine gara, si è confessato nella segreteria del club dove ha cominciato a giocare: «Ero triste e allora mi facevo trascinare da falsi amici. Bevevo da solo o con loro, dopo l’allenamento prendevamo anche 2-3 casse di birra. Mi piaceva andare in discoteca, a ballare, non riuscivo a fermarmi. Bevevo anche lì, l’alcool è la peggior droga del mondo. Ho pensato spesso di lasciare il calcio e anche quando la Roma (che sta valutando alcune offerte dalla Spagna per Osvaldo, ndr) mi ha dato in prestito al San Paolo, non mi sono fermato, mancando di rispetto al club che mi ha reso famoso».
Parabola Naturalizzato italiano grazie al nonno (Pasquale Di Cesare, originario di Vicovaro Mandela, alle porte della Capitale), alla Roma Cicinho ci era arrivato da re, prelevato dal Real Madrid per 9 milioni di euro e con un quinquennale da oltre 2 milioni a stagione. Ma il terzino brasiliano in realtà non ha mai rispettato le aspettative. I primi due anni, con Spalletti, giocò e molto, ma mai convincendo, tanto da arrivare anche a litigare con l’attuale tecnico dello Zenit. Poi ci si mise anche la sfortuna, con la rottura nel 2009 dei legamenti del ginocchio (stesso infortunio avuto al Real) e la parabola cominciò senza fine. Gli mancava il figlio (Heitor, avuto da Mirelle, la sua prima moglie), che viveva in Brasile e gli mancava il campo, che con Ranieri vedeva con il contagocce. Così fu mandato in prestito al San Paolo prima ed al Villarreal poi. Tornato per l’ennesima volta a Roma la scorsa estate, Luis Enrique si era messo in testa di recuperarlo psicologicamente e di restituirlo al calcio, salvo poi arrendersi quasi subito: qualche allenamento saltato post-sbronza, ritardi vari, una condizione fisica a dir poco approssimativa, con tanti chili in più. La birra e l’alcool, del resto, non perdonano mai.
Salvezza Eppure l’ultima stagione di Cicinho a Roma è stata forse la meno shoccante, dal punto di vista degli stravizi. E il merito è stato tutto di Marry De Andrade, la ragazza che ha sposato in doppie nozze ad aprile, prima al Consolato brasiliano e poi con rito evangelico, l’ancora di salvezza che l’ha allontanato da certe amicizie. E dall’alcool. «Ora voglio continuare a giocare, se possibile. Altrimenti farò quello che vuole Dio, nel mio cammino di evangelizzazione». Cicinho in brasiliano vuol dire “piccoletto”, la speranza è che non lo sia più come uomo.

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