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GAZZETTA DELLO SPORT Roma, l’usato garantito. Perrotta ora riparte

Perrotta

(D. Stoppini) – Sono lì, in un angolo, quasi dimenticati. Vecchietti o guerrieri, scegliete voi la definizione più adatta per Simone Perrotta e Cristian Brocchi.

Classe 1977 il primo, 1976 il secondo, entrambi con il contratto in scadenza nel 2013 e poi chissà. Il campo l’hanno visto poco la scorsa stagione, per motivi diversi. Oggi Roma e Lazio ripartono da Zeman e Petkovic: largo ai giovani è lo slogan comune. Ma sicuri che due così non servano più? Simone Perrotta in questi otto anni ha scritto più di un pezzo di storia giallorossa: era il marchio di fabbrica della Roma «spallettiana», l’uomo che sfruttava gli spazi creati da Totti per andare dentro, creare scompiglio e, perché no, segnare anche più di qualche gol (in tutto ben 47 nelle otto stagioni giallorosse). Poi, con Luis Enrique è arrivato il buio, nonostante il tecnico spagnolo nelle sue prime intervista lo incensò di complimenti («Non vedo l’ora di allenare campioni del calibro di Totti, De Rossi e Perrotta», disse l’asturiano subito dopo la firma del contratto, forse perché erano i tre soli giocatori che conosceva davvero, in quanto campioni del mondo a Germania 2006).

Ed invece Luis Enrique si inventò di tutto per Perrotta tranne che il suo vero ruolo, arrivando a piazzarlo anche come terzino destro (la prima volta successe alla terza di campionato a Milano, contro l’Inter, tra lo stupore generale di tutti). Forse Luis lo vedeva lì per le sue capacità di corsa, di spinta, di resistenza atletica. Le stesse che, il prossimo anno, potrebbero evitargli di arrivare alla pensione (il contratto, rinnovato in automatico lo scorso anno, scadrà a giugno del 2013) senza guadagnarsela davvero fino in fondo. Con Zeman, infatti, Perrotta potrebbe trovare una buona collocazione, tornando utile alla causa giallorossa. Partirà dalle posizioni di rincalzo, è ovvio, sarà un buon panchinaro, ma di quelli affidabili, anche perché se c’è una cosa che non si può proprio rimproverare a Simone è l’abnegazione, il senso della fatica e di appartenenza al gruppo. Ecco perché, a conti fatti, Zeman se lo terrà stretto e — magari — troverà anche il modo di rilanciarlo nei momenti in cui ne avrà bisogno.

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