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CORRIERE DELLO SPORT. Zemanlandia e quel gol di Paulo Sergio

Zdenek Zeman

(F.Nobili Massuero) Il frenetico laboratorio integralista di calcio chiamato “Zemanlandia”, abbandonata la sede primitiva di Formello, si era trasferito da tempo, con scalpore, armi, bagagli e trucchi incorporati, per la gioia delle nuove legioni di amanti del bel gioco, verso contrapposta area di passione sportiva cittadina, nel feudo romanista di Trigoria.

Il tecnico boemo, fin dall’impatto immediato alla testa della Lupa, riaccendeva, elevandoli all’ennesima potenza, gli entusiasmi alquanto sopiti della piazza, conquistata al fideistico, immutabile verbo del suo schema.
Il pubblico in solluchero ammirava – nelle giornate di collettiva vena, ma erano molte – una squadra moderna, veloce, pugnace e generosa, alla ricerca perenne dell’azione incisiva e vincente e dell’affondo. Il suo “4-3-3” valeva dogma, coinvolgendo alla causa miriadi di supporter calorosi, che con ardore ne sostenevano il progetto, dichiarandogli stima infinita nonché amore.
Ma il rapporto tendeva un pochino a scricchiolare, nell’annata seguente, per via di risultati deludenti, in parte cagionati peraltro – come noto – da arbitraggi non sempre trasparenti.

Quand’ecco che, nel 1999 incipiente, il patron Sensi, rotti gli indugi invero prolungati, disponeva il rinnovo del contratto e i giallorossi, d’incanto, prendevano a volare sui campi adesso vellutati e a divertire.

Al termine di un anomalo febbraio, in un clima balzano, da tarda primavera, la Roma riceveva la visita del Milan, guidato anch’esso da un seguace, seppure con approccio diverso, della zona: Zaccheroni, che qualche mese avanti avrebbe colto un avventuroso scudetto al fotofinish, vantava una collana di successi continui sul collega e auspicava, ovviamente, di non interrompere la serie.
I fieri lupi però, nel sabato fiammante vespertino, famelici, irruenti e concentrati, dopo fase passiva, forse di studio, si avventavano sui prossimi campioni nazionali, martellando e dilagando dovunque impetuosi, pure se a volte imprecisi, nell’agone. La gara fu risolta da invenzione, estemporanea e squisita, del Migliore: Totti, allora cursore senza requie né pause e insieme artista, calibrava un cross ampio e preciso, per la zucca del prode Paulo Sergio mattatore. Il brasiliano, prelevato dalla fucina tedesca del club dell’aspirina, divenne, nel suo breve soggiorno in seno all’Urbe, beniamino acclamato dai tifosi. Caldeggiato da Zeman, partì col suo mentore, sacrificato, si narra, ai diktat dei palazzi del potere.

 

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