(T. Cagnucci) – E’ una questione di palle. Quasi sempre nella vita, figuriamoci nel calcio. C’è chi ce le ha e chi no, chi ci gioca, chi se le inventa, e chi ce le ha gonfie (nel caso particolare soltanto una).
Niente di clamorosamente polemico, piuttosto molto di letterale: Francesco Totti ha preso una botta durante la partitella contro i romeni nei testicoli e sostanzialmente per questo è uscito. Il «non ce la faccio» a Osvaldo nasce da qui; da qui può nascere pure un fraintendimento e un equivoco sulla sostituzione di Zeman, può nascere praticamente tutto quello che volete (…) ma non un caso Totti-Zeman. No. E non ora. Non adesso. Presumibilmente mai. I bookmakers per ora nemmeno la quotano una separazione di questo tipo.
Eppure sì, Totti sostituito da Zeman al 37’ del primo tempo di un’amichevole con la chiosa boema in conferenza («non ce la faceva») è stato lo spunto per infilarsi dentro a una via, però, senza uscita. Se ci fosse stato Luis Enrique era finita, ieri si sarebbe chiesto la testa dell’allenatore (con la ghigliottina, ben inteso) e l’esilio da Roma per i suoi discendenti fino alla quinta generazione. Luis Enrique è il passato, si dirà, ed è vero, ma si sa il passato non si dimentica, non tanto perché così canta la Curva Sud (…) piuttosto perché soltanto ricordando e mantenendo memoria si ha futuro. E’ uno di quegli adagi che si capiscono al volo, ma che non si afferrano quasi mai. Domani un anno fa è l’anniversario dell’intervista di Franco Baldini a Repubblica, l’annuncio di tempeste e di stravolgimenti, il “la” a pigre (quelle sì) speculazioni. Un anno fa si scriveva a nove colonne che «Totti e De Rossi sono i casi della Roma». Totti fino all’ultima partita ha chiesto la conferma di Luis Enrique, De Rossi – che aveva già firmato contemporaneamente per il Manchester City, la squadra di Dubai e, vuoi mettere, il Real Madrid di Mourinho – ha firmato un contratto fino al 7012 con la Roma. Loro erano i casi. Appunto. Come il caso Totti e Zeman.
Casi e casini. Palle e palloni. Zeman preferisce farle girare velocemente a terra, senza lanci lunghi, senza buttarle, né tirarle vie da lontano. Non se le taglia facendo un dispetto a Totti o a chicchessia. E’ una cura maniacale la sua: tutti gli esercizi fatti fin qui a Riscone di Brunico con il pallone, sono sempre iniziati prendendolo per prima cosa in mano per finire a trattarlo coi piedi. Una finezza, una cura, un dettaglio ed è esattamente da questi particolari che si giudica un allenatore. Da questi e da altri, soprattutto da uno: da come tratta i tifosi. Sole, pioggia e vento è l’unico che si ferma sempre con loro. Questo è praticamente tutto per chi è romanista. D’altronde lui ha bisogno della gente per sentirsi a casa. E’ il suo ambiente naturale. La sua Roma allo statoBradley.