(L.Cascioli) La crisi della Roma è un aspetto diverso della crisi del calcio italiano, che ha cominciato a sentirsi in difficoltà, e sta cercando nuove avventure di gioco sia con la nazionale che con i suoi club più rappresentativi.C’è qualcosa che sta scricchiolando da tempo nel calcio di casa nostra, facendoci perdere competitività e sono un po’ tutti corsi ai ripari. Il Milan scegliendo un tecnico giovane e capace di realizzare un calcio moderno nello spirito della nostra tradizione: i rossoneri hanno vinto uno scudetto dopo tanti anni e sono tutti Allegri di nome e di fatto. La Juve, dopo qualche tentativo sbagliato, ha scelto un giovane di successo capace di dare vita ad un calcio-champagne, dichiaratamente offensivo e basato sulla velocità dei singoli e della manovra, che è anche lo spirito con cui Mazzarri ha ridato vigore e credibilità al fenomeno Napoli. Ha fallito l’Inter, che ha una squadra troppo vecchia per poter sperare di cambiarla solo con l’allenatore. La Roma ha voluto osare di più, giocando la carta del tutto nuovo: dirigenti, allenatore, giocatori. Per scoprire poi che i punti fermi della nuova squadra restano i De Rossi, i Pizarro, i Burdisso, i Totti (quando c’è). E allora non ci vorrebbe molto per organizzare, attorno a queste certezze una squadra nuova, più bella, a cui per quest’anno non si chiede la luna, ma solo di vincere, quando è possibile e divertirci quando è conveniente. Cercare di pretenderlo contro il Milan era una pia presunzione (anche se ne calcio si deve sempre pretendere il massimo). Ma la Roma di oggi è inferiore al Milan in tutto, come compattezza di squadra, come rosa di giocatori, come autorità dei suoi dirigenti, come esperienza del tecnico. E ci siamo meravigliati che per alcuni tratti abbia saputo giocare alla pari con i suoi più titolati avversari. Il fatto è che la squadra continua a lasciare molte buone impressioni e i tre punti. Questa Roma perde sempre benissimo. Nessuno riesce a perdere giocando meglio della Roma che per quanto sia diventato stucchevole affermarlo, come tutte le più noiose verità, resta solo un laboratorio. Se n’è accorto (e questo è il fatto nuovo) anche l’allenatore asturiano, affermando: «Sbrighiamoci a diventare squadra». Ma dipende solo da lui e per farlo deve affrettarsi a dare corpo alle scelte definitive. La Roma, lo sappiamo, in questo primo stadio non può ancora competere con le prime per i massimi traguardi. Ma possiede una rosa con le qualità per mettere in piedi una squadra dignitosa (e anche bella), meno slabbrata di quelle schierate in campo sinora e sempre diverse. Se Luis Enrique lo ha capito abbiamo fatto un bel passo avanti. Se si è svegliato, si sveglierà anche la Roma. E in quanto all’alibi della squadra ancora giovane e inesperta, è giunto puntuale e preciso l’intervento del nostro direttore, che ha smentito questa bugia. Il solo vero inesperto di tutta la cricca è l’allenatore, che ha già diviso gli appassionati tra chi lo considera un Frankenstein che assembla organi diversi per dare forma al suo “mostro” e chi gli attribuisce poteri mistici e sublimi da supremo creatore. E allora Luis Enrique dismetta le vesti dell’apprendista stregone e indossi quelle dell’allenatore. Dalle ultime sue dichiarazioni ci è parso abbastanza onesto per dirlo. Ora gli resta farlo.