(M. Ferretti) – I numeri parlano (ancora) chiaro e confermano quanto già emerso a settembre, primo mese di attività ufficiale dellanuova Roma: Miralem Pjanic, analizzando i voti delle pagelle dei principali quotidiani nazionali, anche in ottobre è stato per rendimento tra i primi tre giocatori diLuis Enrique. Dire che il processo di ambientamento del ragazzo bosniaco (ma ha anche le cittadinanze francese e lussemburghese) si è completato, forse è eccessivo; ma non v’è dubbio che proprio Pjanic, acquistato in extremis dal Lione in cambio di 11 milioni di euro, sia tra le note liete di una stagione per ora triste. Luis, quando ha potuto, gli ha dato sempre fiducia: l’ha impiegato da intermedio e anche da trequartista, quando c’è stata (e c’è ancora) la necessità di sostituire Francesco Totti. Pur non parlando italiano, pur non conoscendo nessuno dei suoi nuovi compagni di squadra Pjanic si è fatto capire (e apprezzare) in fretta mettendo in mostra, sia in allenamento che durante le partite, qualità tecniche di spessore abbinate ad una forte personalità. «È un giocatore formidabile», parole di Totti, «sembra lento ma ha la capacità di anticipare sempre la giocata mettendo fuori causa l’avversario». Un’investitura in piena regola. Al Lione giocava da trequartista, nella nazionale bosniaca gioca come attaccante di destra nel 4-2-3-1: questo vuol dire che Pjanic, 21 anni compiuti in aprile, è un giocatore eclettico e in grado di ricoprire tutti i ruoli dal centrocampo in su, tranne quello di punta centrale. Non ha un grande fisico, ha due spalle strette strette ma ha piedi davvero raffinati. E la classe, si sa, fa sempre la differenza. Da qualche giorno ha lasciato l’albergo in cui ha vissuto nella prima parte della sua avventura romana, ha preso casa e si è ancora più tranquillizzato. Sereno, a Roma, Miralem lo è stato fin dal giorno del suo arrivo a Fiumicino perchè sapeva che la società giallorossa aveva fatto di tutto per prenderlo, su segnalazione di Luis Enrique. «Qui credono in me», ha confessato qualche giorno fa a un giornale francese. Una sensazione, la sua, rafforzata dai sorrisi e dagli sguardi affettuosi del gruppo: con Heinze parla in francese, con Juan e Kjaer in tedesco, in italiano con Borini e Borriello, i suoi colleghi più amici, «tutti sanno che amo giocare con la palla e fanno di tutto in modo che io possa esprimermi e mostrare le mie capacità». Nonostante i ventuno anni, è sbagliato etichettare (calcisticamente) Pjanic come un giovane inesperto: essendo (stato) una specie di bambino prodigio, Miralem gioca calcio vero da almeno cinque stagioni. Basti pensare che nella seconda al Lione, dopo un anno di ambientamento, (20 presenze, nessun gol), si prese un grande spazio andando gradualmente a sostituire il mito Juninho: 37 gare, 6 gol e 9 assist in campionato, 12 gare, 4 gol e 4 assist in Champions nella stagione 2009/2010. Indimenticabile il gol dell’1–1 siglato contro il Real Madrid al Santiago Bernabeu, decisivo ai fini del passaggio ai quarti di finale. Assente Totti, Pjanic sabato contro il Milan ha messo in mostra un altro pezzo del suo repertorio, i calci piazzati. Con una tecnica che ricorda, e neppure poco, quella che usava il suo maestro Juninho, cioè con il pallone che viaggia verso la porta avversaria senza girare su se stesso, abbassandosi in un attimo. In precedenza si era fatto apprezzare, tra l’altro, per gli assist confezionati a beneficio di Fabio Simplicio (Roma-Atalanta) e Osvaldo (Lazio-Roma). Non poco, visto il panorama generale.