(U.Trani) – Tredici anni dopo, è sempre Zeman. Stesso divertimento e stesso coinvolgimento. Dei giocatori e dei tifosi. Prandelli, il cittì della Nazionale, conferma che niente è diverso da prima: a Coverciano, l’università del nostro calcio, il 4-3-3 si studia sugli appunti del boemo e non di altri. Lo spartito è quello e a quello bisogna rifarsi. Tagli e verticalizzazioni, velocità e corsa, pressing e baricentro altissimo.
Se poi, però, vedi la Roma di oggi è facile rendersi conto che non è più quella di ieri. Perché Zeman, vecchio e nuovo, è simile e non identico. Il punto in comune è Totti. Dalle sue gesta prende ancora forma il sistema di gioco. E’ sempre lì, a sinistra, ultimo uomo dello schieramento e primo comunque di riferimento. Tredici anni fa lasciava la fascia per entrare in area e concludere. Non solo assist. Oggi invece aumenta la sua libertà in campo. Mezzala, rifinitore e più centrocampista che attaccante. Più chance per gli altri che per se stesso. In due partite tiri in porta zero o quasi. Tutto l’attacco è diverso. Prima erano piccoli e rapidi. Come Baiano che con il Foggia segnò il gol del vantaggio contro l’Inter il 1° settembre del ’91, quando il boemo si presentò alla serie A, proprio a San Siro, mettendo subito paura alla rivale prestigiosa che faticò per conquistare un pari. Oggi sono alti e potenti. Combattenti e tecnici. Gli sguardi cattivi di Osvaldo e Destro, non più i satanelli con le facce bambine. Due centravanti, anche tre. Perché Totti quello è stato negli ultimi anni.
Si scopre che l’integralista non è tale. Basta dargli i giocatori veri. Una volta giocavano sempre gli stessi, con gli altri il prodotto era spesso da buttare. Domenica sera a San Siro dopo mezzora, con l’uscita di De Rossi, il giocatore con il più alto valore di mercato in rosa, i tre centrocampisti erano quelli di scorta. Non è giusto chiamarli riserve, anche se per Tachtsidis era l’esordio in A e Florenzi la prima da titolare e con meno di mezz’ora in due partite nella massima serie. […]