(M. Izzi) – «Il pubblico di un balletto può vantare una maggiore preparazione culturale del pubblico di uno stadio, ma trova altrettanto difficile tradurre in parole ciò che rende i movimenti di un ballerino più validi di quelli di un altro. Superficialmente le loro descrizioni possono apparire più articolate perché vi vengono adoperate parole più lunghe, ma un’analisi attenta di quello che stanno esattamente dicendo rivela che non sono molto più bravi dei tifosi di calcio a tradurre in lingua gli elementi di una performance». E’ un passaggio di La tribù del calcio, uno strepitoso, quanto monumentale libro di Desmond Morris editato in Italia nel 1982.
L’ho rispolverato in coincidenza dell’istituzione dell’albo degli striscioni, perché questo libro, con tre decenni d’anticipo sulle risoluzioni dei nostri governanti, aveva compreso che il calcio ha dei rituali, dei colori, dei mezzi espressivi propri dei protagonisti sul campo e un linguaggio, scritto, sonoro riservato ai tifosi. Nelle 323 pagine del libro si parla delle “tempeste di carta”, vale a dire il lancio di coriandoli di carta all’ ingresso delle squadre in campo, evocazione del lancio di confetti nelle feste religiose e nei carnevali, ma anche eco dell’usanza primitiva di lanciare cibo per scacciare gli spiriti maligni: «Un altro antico metodo per scacciare gli spiriti maligni – scrive Morris – era quello di accendere falò, o di provocare fumo. Tutte pratiche riprese talvolta dal calcio». Uno per uno vengono passati in rassegna i significati della “foresta di bandiere”, dello “sfoggio della sciarpa”, del “battimano sincronizzato”.
C’è poi, come detto, il capitolo dedicato al “linguaggio” scritto. Ogni tifoseria, aggiungo io, né ha uno, perché evidenza la peculiarità di un mondo, di un microcosmo di fede e passione che implica il ricordo delle gesta passate e una memoria condivisa delle gioie e dei dolori di una storia sportiva. Certo il botta e riposta di striscioni tra tifosi del Chelsea: «Il Chelsea è magico» e del Tottenham: «Allora osservatelo scomparire nella prima divisione», ricorda molto da vicino la risposta data allo striscione inalberato dai sostenitori della Lazio dopo i quattro derby della stagione 97/98: «Tranquilli, siete su Scherzi a parte», rintuzzato dalla Sud con: «Meglio un anno su Scherzi a parte che 11 anni su Chi l’ha visto» (con riferimento agli undici campionati di serie B dei biancazzurri). Quello che è certo, però, è che nessuna tifoseria al mondo, prima della Roma, ha potuto vantare uno striscione come quello del “TI AMO”. Per il derby del 23 ottobre 1983, la Curva Sud avrebbe dovuto essere metà gialla e metà rossa, per poi invertire i campi e divenire completamente gialla al momento dell’ingresso in campo delle squadre, quando si sarebbero scoperte cinque lettere di 15 metri d’altezza, per comporre il “TI AMO”.
Con un colpo di scena però, vennero negati i permessi per l’ingresso nello stadio dei 600 quintali di cartoncino giallo e rosso. Il martedì mattina si decise che visto che la stoffa sarebbe potuta entrare, il “TI AMO” avrebbe troneggiato da un bandierone composto a mosaico, che ad un segnale prestabilito si sarebbe composto. In quattro giorni e quattro notti nacque, “20×60”, quella che è la Cappella Sistina del tifo mondiale. Montato in una villa isolata, lo striscione fu definitivamente pronto alle 3:30 della domenica e fece il suo ingresso all’Olimpico alle 10.30, a bordo di un camioncino.
L’ultimo rovescio da superare si trasforma nel tocco definitivo di leggenda. Lo striscione, 1300 mq, non può essere montato in campo per disposizioni della Lazio che in quel derby figura come squadra ospitante. Si monta il tutto, in maniera miracolosa, direttamente in Curva, ultimando il lavoro alle 14:05. La Sud risponde agli striscioni della Lazio (del testo se n’è persa memoria) con l’urlo “Campioni” innalzato da tutta la Curva e dallo striscione: “La nostra certezza è grande come la vostra illusione”, poi, alle 14:25 ecco il “TI AMO” che lascia in un silenzio assoluto tutto lo stadio. Lo striscione perfetto è quello che non lascia spazio a repliche, ma neanche agli insulti, che nega persino lo sfogo della rabbia. I tifosi della Roma sono stati capaci di questo, inventando un “linguaggio” nuovo. Negli ultimi 30 anni, la memoria degli striscioni ha iniziato ad essere preservata anche dalle opere librarie e di memorabilia calcistica in generale. Nel maggio 1996, ad esempio l’album: “Roma, Roma, Roma. La storia giallorossa in figurine”, dedicava ben sei pagine agli striscioni. C’era spazio per quelli ironici: “Pinocchio l’hanno inventato.
Gazza l’avete comprato” (mancava purtoppo: “Su de voi nun ce se po’ contà. Oggi ce sete domani nun se sa”, del 1988/89) , dedicato naturalmente all’improbabile laziale Gascoigne, ma anche per gli squilli di tromba che incitano la squadra: «Il nostro amore … il vostro cuore alzeranno la Coppa. Carica ragazzi!», innalzato nella finale di Coppa Uefa del 1991, come non viene tralasciata la tradizione e le radici del tifo giallorosso. Ci riferiamo allo stendardo: “Viva la Roma Campione d’Italia 1942”, realizzato e portato allo stadio Nazionale da Francesco e Gioacchino Lalli, due cugini di fede romanista accomunati anche dal singolare destino di essere sordomuti. Nonostante questo non avevano voluto privarsi della possibilità di urlare il loro forza Roma!
Sempre del 1996 è il libro “Il tifo giallorosso”, interamente dedicato a documentare i “graffiti” immortali della passione romanista come il: “Roma Testaccio ti guarda” mostrato il 18 gennaio 1981, come uno schiaffo in faccia alla vecchia signora Ci sono poi gli scatti in bianco e nero degli anni 50: “Lasciatece passà. Semo romani! – Gruppo Tifosi Borgo”, “Roma sei er core dell’Esquilino”, «Forza Roma. Lupa faje li bozzi. Tifosi del Quadraro» e ancora, tornando agli anni 80: “Roma regalaci un sogno”, sino al: “C’è solo l’ AS Roma” del 1994/95 o: “Sei il nostro orgoglio” del 1985/86. Chiudere una carrellata di questo tipo è impossibile, dovendolo fare non rinuncio a ricordare l’immenso “Roma mai sola” dell’8 dicembre 2004, disegnato con centinaia di migliaia di nastrini gialli e rossi nella Tribuna Tevere deserta per il provvedimento di “porte chiuse” deciso dopo gli incidenti di Roma–Dinamo Kiev.