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GAZZETTA DELLO SPORT Zeman in testacoda «Abete nemico del calcio» Poi: «Non ce l’ho con lui»

Zeman

(M.Cecchini)L’Angelo Vendicatore ha sguainato ancora la sua spada, ma stavolta ha dovuto rinfoderarla in fretta. Un incidenti di percorso, ovvio, che comunque non ha impedito a Zdenek Zeman di rubare la scena ad una Roma impegnata in continui e serrati confronti politico-istituzionali per il miglioramento dell’hospitality dell’Olimpico e per l’individuazione dell’area destinata al nuovo stadio. Ma il danno era fatto, visto che l’allenatore — in una intervista che sarà in edicola domani con «Sette», supplemento del Corriere della Sera — alla domanda se andrebbe a cena col «nemico» Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, risponde sereno: «Perché no? Abete non è nemico mio. È nemico del calcio».

Dirigenza irritata Inutile dire come la bufera sia scoppiata subito. Grande come l’irritazione della dirigenza per una sovraesposizione inutile e lo stupore della Figc per essere stata presa di mira senza alcuna ragione specifica. Non a caso lo stesso Zeman ha chiesto che la Roma si mettesse in contatto con Via Allegri spiegare la sua posizione, cosa che ha portato in serata a un comunicato in retromarcia. «Quanto dichiarato non era riferito alla persona del presidente della Figc, ma al sistema calcio nel suo complesso, che negli ultimi anni ha perso occasioni importanti per riformarsi». Questo, però, potrebbe non stoppare un possibile deferimento dell’allenatore, la cui presa di posizione ieri ha persino diviso la tifoseria giallorossa. I perplessi infatti mugugnavano: non è che poi con tutte queste sparate ce la faranno pagare sul campo?

Le parole di Moratti Nell’estratto dell’intervista, poi, Zeman aggiungeva: «Il calcio dovrebbe puntare su serietà e impegno. C’è qualche miglioramento, ma temo che sia più paura di essere scoperti che per convinzione. Servono più esempi positivi». Insomma, il pallone «dovrebbe essere semplicità. Bisogna vincere dimostrandosi superiori sul campo e non fuori dal campo». E su Massimo Moratti che in passato lo aveva corteggiato dice freddo: «Molte parole, ma poi bisogna vedere se ci sono le condizioni per lavorare bene. E non parlo di giocatori da acquistare».
Via dalla Borsa La Roma, perciò, dovrebbe rappresentare il suo habitat naturale, ma è proprio così? Il dubbio è lecito, visto che il boemo è critico anche sul rapporto tra le società di calcio e la Borsa. «Non dovrebbero essere quotate, e i risultati mi danno ragione. Il calcio deve stare fuori dalla finanza e dalla politica». Affermazione ricca di buon senso, se il suo club non fosse controllato al 40% da un istituto di credito di dimensioni internazionali. Non a caso il commento off records che proviene da ambienti UniCredit è ironico: ma Zeman lo sa che la Roma è quotata in Piazza Affari (ancora per poco, ndr) e che, visto l’assetto proprietario, parte del suo stipendio arriva da quella banca che fornisce anche un proprio uomo anche alla presidenza di Lega? Chissà. Forse non se ne sarà accorto. Oppure pensava di essere rimasto ad arringare dalle nobili e donchisciottesche tribune di Pescara.
Per ora non si sono messi a pregarlo in ginocchio, ma non è da escludere che la prossima mossa sia questa. Stiamo scherzando, ovvio, ma una cosa è certa: alla Roma le polemiche innescate da Zeman non fanno piacere. Anzi. E la cosa gli è stata fatta presente fin dalle prime uscite pubbliche, quando nel mirino era finita soprattutto la Juve. Ma i consigli sono stati tutti rispediti al mittente. «Lui fa come vuole — sussurrano sconsolati a Trigoria — però così si incendia una piazza che non ne ha bisogno». D’altronde l’allenatore sa che la cassa di risonanza offertagli da questi argomenti è superiore a qualsiasi invenzione tattica e così prosegue nel suo stile, mettendo in imbarazzo una società che sta stabilendo rapporti sempre più solidi col mondo politico-
finanziario e cercando nel contempo di disinnescare i possibili focolai di violenza. Eppure il messaggio del club è semplice: questa non è Zemanlandia (termine infatti poco gradito), ma la Roma «made in Usa», cioè rinnovata anche nella capacità d’interagire con altri club e istituzioni. Non a caso appena un anno fa la dirigenza aveva persino promesso di non parlare più degli arbitraggi. Ma non aveva fatto i conti con Zeman, naturalmente.
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