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CAGLIARI-ROMA Cellino, l’arroganza al potere

Massimo Cellino

Il padrone è lui, “il padrone sono me”. C’è qualcosa di antico e un po’ fastidioso nell’interpretazione del ruolo di presidente di calcio, da parte di Massimo Cellino. Come ai tempi del mecenatismo più assoluto, Cellino ritiene che mettere soldi (e passione, e sovente competenza, bisogna ammetterlo) in una squadra significhi poterla governare in tutto e per tutto, costruendo, distruggendo, condizionando. L’ultima vicenda che ha portato al rinvio di Cagliari-Roma è incredibile: nonostante il divieto del pubblico allo stadio, per colpa di un impianto non ancora del tutto a norma, Cellino ha invitato i cagliaritani a recarsi ugualmente alla partita, e lo spostamento dell’incontro per ragioni  –  e timori  –  di ordine pubblico è assolutamente logico. Così come la possibilità di un 3-0 a tavolino a favore dei giallorossi.
Celebre soprattutto per i suoi esoneri a raffica, Cellino è un cannibale di allenatori. In questo assomiglia a Maurizio Zamparini, grande capo del Palermo: sono rimasti loro a rappresentare un’epoca arcaica e quasi del tutto superata, appunto quella dei presidenti-padroni. La perla più recente di Cellino è l’esonero di Roberto Donadoni prima ancora che iniziasse lo scorso campionato, ma questa nuova vicenda dello stadio e l’infinita battaglia con il comune di Cagliari rischiano di offuscare ogni altra iniziativa di repertorio.
Colmo dell’assurdo, avere trasferito per qualche tempo il Cagliari a Trieste nella scorsa stagione: tutti ricorderanno la  partita dello scudetto bianconero tra la Juve e il Cagliari, appunto in trasferta nella città di Italo Svevo e Umberto Saba: una comica, se non fosse che ormai c’è chi considera il calcio come un giocattolo da spostare ovunque, a dispetto dei diritti e degli interessi del pubblico. Ragionamento che porta a trasportare lo stesso pubblico di qui o di là, come se fosse un pacco postale o un convoglio di bestiame: a Trieste, anche se si parla del Cagliari, oppure dentro uno stadio inagibile e contro il volere di qualunque autorità e istituzione. Ovvio che il prefetto della città sarda si sia opposto, naturale che la Federcalcio abbia aperto un’inchiesta (nella speranza che la chiuda pure, e non tra sei mesi). Tra l’altro, Cellino rappresenta la Lega Calcio in consiglio federale: fino a quando, di grazia?
Massimo Cellino a volte si comporta come un imperatore romano, ma qualcuno dovrebbe dirgli che l’impero non esiste più, o forse non è mai esistito. Comprare e vendere giocatori, magari mettendoli fuori rosa per mesi solo perché avevano espresso il timido desiderio di giocare altrove (Cellino si comportò in questo modo con il suo ex portiere Marchetti, una vicenda ai limiti del mobbing), non autorizza ad esercitare la gestione di un club sportivo protervia e arroganza, travestendole da populismo: perché certi personaggi, comportandosi da padroni vecchio stile, avrebbero anche la pretesa di difendere gli interessi della gente. Ma anche in occasione di Cagliari-Juventus a Trieste, a Cellino interessò soltanto l’incasso: andate a rivedervi i prezzi dei biglietti di quella sfida e capirete il perché di quella scelta.
Il sospetto, però, è che Massimo Cellino sia rappresentativo non solo di un certo modo vecchio e inaccettabile di esercitare il potere calcistico, ma anche di una certa parte della classe imprenditoriale italiana. Qui si tratta “solo” di una squadra di calcio, per carità, ma in tempo di crisi l’arroganza dei potenti trova un fertilissimo terreno per esprimersi: e così si minaccia di tagliare la produzione, oppure di spostarla dove più conviene, senza curarsi minimamente dei diritti delle persone. Forse è un po’ fuori moda chiamare costoro “padroni”, forse può sembrare vetero-comunista: tuttavia, alzi la mano chi sa trovare un termine più moderno, più efficace e più esatto.

Fonte: Repubblica.it

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