(F. Bocca) – Partita rinviata – ma probabilmente non si giocherà mai per delirio presidenziale. Perché un presidente di club, nell’Italietta del calcio, non lontana da quella maneggiona degli scandali politici, ritiene di essere oltre la legge. E infatti la viola apertamente. Ritiene di poter portare migliaia di persone a giocare nello stadio che dice lui, senza rispettare le condizioni di sicurezza, di infischiarsene e violare l’ordinanza di “porte chiuse”.
Il caso di Cagliari-Roma, rinviata nella notte per problemi di ordine pubblico, e del presidente Massimo Cellino, che organizza partite di calcio con la stessa disinvoltura delle esibizioni dei Maurilios, la sua rock band, è culminato col totale isolamento e abbandono del dirigente stesso. Che vede profilarsi una pesante squalifica per lui (un anno?) e un’inevitabile sconfitta a tavolino (0-3) per il suo Cagliari. Per non ipotizzare di peggio: una penalizzazione, il degradamento quale alto rappresentante della Federcalcio, e pure una denuncia penale. Il presidente della Figc Giancarlo Abete, che Cellino si ritrova a fianco addirittura in consiglio federale essendo stato scelto quale rappresentante dei club di A nel massimo consesso del football italiano, per una volta ha gettato la livella dei giudizi. “Il suo comportamento è inaccettabile, provoca un danno d’immagine a tutto il calcio italiano. Quello che è successo a Cagliari trasferisce persino all’estero un’immagine negativa. E’ incredibile, inaccettabile e sconcertante. Si è andati alla sfida con le autorità di pubblica sicurezza: un atto da sanzionare anche oltre i limiti della giustizia sportiva”. L’ufficio di giustizia sportiva della Federcalcio ha aperto, come si dice, un’indagine. Ma l’istigazione di Cellino a violare le “porte chiuse” rischia conseguenze anche dal punto di vista penale. Cosa è successo ha un lungo prologo addirittura nello scorso campionato.
L’abbandono del vecchio e glorioso, ma anche ormai marcio, Sant’Elia; il contenzioso con il Comune che imputa a Cellino di non aver rispettato gli accordi; le mire del presidente su altre aree in cui costruire uno stadio – e supermercati, palazzine e così via – l’allucinante trasferimento del Cagliari a Trieste e poi la decisione di traslocare allo stadio Is Arenas di Quartu Sant’Elena. Con lavori frettolosi per adeguare l’impianto alla A e senza ottenere fino a ora l’agibilità tanto da avervi già giocato a porte chiuse la prima partita con l’Atalanta. Poi c’è l’epilogo: la decisione d giocare Cagliari-Roma a porte chiuse; Cellino che da Miami detta un comunicato delirante e a sberleffo delle autorità invita il pubblico a presentarsi allo stadio; lo stop del prefetto che proprio a causa di quell’irresponsabile intervento ferma la ridicola, e pericolosa, farsa. La Roma di Zeman e Baldini è rientrata ieri sconcertata e col ricorso per lo 0-3 a tavolino in tasca. Nella nota dell prefetto di Cagliari Giuseppe Balsamo, la chiave.
“La decisione del rinvio – è scritto – si è resa necessaria per l’urgente e grave necessità di prevenire ogni forma di turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica conseguente alle reazioni emotive irrazionali e inconsulte ingenerate dall’invito formulato dal Presidente del Cagliari Calcio”. Un rinvio è per cause di forza maggiore, qui invece c’è una responsabilità evidente, non si è giocato per il comportamento di Cellino. Quindi il rinvio per ora è solo virtuale e se il giudice sportivo non decidesse subito per lo 0-3 a tavolino, il ricorso preannunciato dalla Roma comincerebbe il suo iter. “La parte più difficile – ha detto il manager Baldini – è stato spiegare quello che è successo ai giocatori nuovi. Una situazione tra il ridicolo e il tragico”. Caustico anche Zeman: “Queste cose succedono solo in Italia, se ci sono delle regole vanno rispettate. E’ una questione culturale”. Mentre già cominciavano a girare voci in città di disimpegno dal club e addirittura di un fantascientifico ritiro dal campionato, Cellino ha dato la sua versione: “Ho invitato la gente ad andare allo stadio per evitare che ci fossero solo gli ultras, e nella convinzione poi che gli abbonati potessero entrare. Così di fatto ho evitato il caos”. Una risposta anche ad Abete: “Non sono io la vergogna del calcio. In 21 anni mai deferito per passaporti, doping e falsi in bilancio. Per gli altri invece i fatti parlano da soli. Io difendo solo i sardi”.