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GAZZETTA DELLO SPORT Ma il marchio Zeman dov’è?

Zeman

(M. Calabresi) – Zdenek Zeman è l’allenatore ideale per far crescere i giovani e far ritrovare entusiasmo; il mercato ha colmato buona parte delle lacune in organico; la vittoria a San Siro ha cancellato le incertezze del dopo Roma-Catania. E invece:due soli successi in campionato (di cui uno a tavolino), due punti conquistati all’Olimpico in tre partite alla portata, gli stessi punti della Roma di Luis Enrique, che le due partite le aveva vinte sul campo.L’allarme, però, è tattico: il marchio di Zeman, finora, si è visto pochissimo.

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Perché passano gli anni, gli allenatori e i giocatori e i problemi della Roma sono sempre gli stessi?

Ci vorrebbe lo psicanalista per capirlo. Fatto sta che anche con la Sampdoria, alla prima difficoltà la Roma si è sgretolata, non riuscendo a reagire nonostante mancasse quasi mezz’ora alla fine. Film già visti, e non è neanche un problema di gioventù: in difesa, il più giovane era il 26enne Castan, a centrocampo è entrato De Rossi e davanti c’era Totti. In campo, solo quattro Under 23. Un blocco principalmente psicologico, legato però a una condizione fisica lontana da quella solita delle squadre di Zeman.

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Ma come, la Roma non era la prima squadra ad essersi radunata proprio per questo motivo?

Vero, ed è ancora più inspiegabile che dopo quasi tre mesi di lavoro, oltre tre settimane di ritiro tra Riscone e Irdning e due doppie sedute ogni settimana, la squadra regga solo un tempo e sia piena di infortunati. La Roma di Zeman, nella stagione ’97-98, dopo cinque giornate aveva 11 punti, l’anno successivo 10, il Pescara di Verratti, Insigne e Immobile 9. Squadre che correvano: contro la Sampdoria, invece, la Roma ha finito troppo presto la benzina e dopo ogni partita accusa oltremodo la fatica. Il dubbio che l’intensità messa negli allenamenti non sia massimale è lecito.

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Possibile che il migliore della Roma debba essere un ragazzino di 36 anni di nome Francesco Totti?

Il capitano, oltre a essere uno dei pochissimi trascinatori della squadra, anche in un ruolo dispendioso come quello di esterno sinistro riesce sempre a essere determinante. Gli altri no: in troppi incarnano in campo gli umori altalenanti della città, che troppo spesso «gonfia» oltremodo le qualità dei singoli. Fenomeni per un giorno, da buttare il giorno dopo: basterebbe una via di mezzo. E in tanti non si sono scrollati di dosso l’etichetta di «prospetti di giocatore»: a gente come Pjanic, Lamela e, ultimo in ordine di tempo, Destro, viene spesso dato l’alibi della gioventù. Soprattutto per i primi due è passato un anno, ma è cambiato poco.

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Allora viene da chiedersi: siamo sicuri che Sabatini abbia portato giocatori da Roma?

Tra i nuovi, ce n’è uno già sulla graticola: Ivan Piris. Se al paraguaiano, contro la Samp, è stato preferito Taddei solo per turnover, lo scopriremo domani. In ogni caso, non ha convinto. Dodò, esterno titolare nelle idee del d.s., non si è ancora visto e ogni giorno che passa aumenta il mistero. Lamela, l’investimento più alto della Roma americana, fa piccoli progressi, ma al completo non è detto che sia un titolare. Stesso discorso per Destro, che preferisce giocare punta, ma in due partite da punta non l’ha mai buttata dentro. Gli unici ad aver convinto appieno sono Castan, e Florenzi, uno per cui la Roma ha dovuto spendere oltre 1 milione per ricomprarlo dal Crotone.

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Che cosa è successo a Stekelenburg?

L’olandese non è più lui. Possibile che un portiere arrivato da vicecampione del Mondo riesca a essere decisivo solo per gli avversari? Sono indiscutibili le qualità, ma anche le difficoltà: tecniche, fisiche, di ambientamento. Si svegli in fretta, prima che per Zeman (che ha voluto Goicoechea) sia troppo tardi.


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