(D. Galli) – Alla Roma serviva una giornata così. Occorreva una ventata d’ottimismo, dopo le polemiche dei giorni scorsi. A portarla ci ha pensato James Pallotta. «Sei un numero uno».Totti glielo ha detto in italiano. Lo ha detto a James, “Jim” per la Roma ma anche per Francesco con cui ieri – prima volta da presidente in “Big Trig”, la Grande Trigoria – ha scambiato qualche battuta. «Come stai?». «Tutto bene». Poche parole, ma quattro sono pesanti: «Sei un numero uno». Fuori dal campo, ovvio. Perché, dentro, il numero uno è quell’uomo che indossa la maglia numero 10. Sono pesanti perché a 36 anni, una vita nella Roma, una fascia da capitano mai messa in discussione, un amore sconfinato della sua gente per lui, Totti non ha certo bisogno di elogiare qualcuno, fosse pure il proprietario del club, per conquistare simpatie o altri onori. Gli è sufficiente dispensare talento. E Pallotta? Non si sa se la frase gli sia stata tradotta, si sa però che di Francesco ha la stessa stima di ogni tifoso romanista. Quindi, elevata alla enne. Tendente a infinito. Raccontano che i due, non potendo parlare la stessa lingua – quella di Pallotta è l’inglese, quella di Totti è il calcio – si sono capiti con lo sguardo.
Il presidente ha voluto salutare ogni giocatore. Ha fatto i complimenti a De Rossi per il suo inglese fluente, ai neo papà Lopez e Bradley ha fatto gli auguri, con Osvaldo ha commentato le playlist (a proposito, in quella del presidente spicca “Paradise City”, votatissima sulla pagina Facebook della Roma). Oltre che con i giocatori, Pallotta si è intrattenuto con i membri dello staff tecnico. Zeman compreso, naturalmente. A Trigoria è piaciuto parecchio l’atteggiamento colloquiale, scanzonato, del presidente. Al diavolo la forma, perché là nella East Coast conta la sostanza, Pallotta non è cambiato di una virgola. È lo stesso del tuffo in piscina a gennaio, gesto-simbolo di una società che non doveva, e non deve, avere mai paura di nulla. È rimasto fedele al personaggio. A se stesso. Un esempio? Quando è stata scattata la foto di gruppo con lo staff, si è messo a sedere per terra. Quando è uscito da “Big Trig”, non è schizzato via. Si è fermato a firmare autografi. Ha anche tentato di firmare un curriculum vitae che un tifoso gli stava consegnando. Quando l’autista gli ha spiegato di cosa si trattava, il presidente non l’ha restituito. Se l’è tenuto.
Poi, altro siparietto. Poco prima di lasciarsi alle spalle piazzale Dino Viola, ha scorto una canotta dei Celtics. È rimasto di stucco. La indossava un inviato di Rete Sport. «Come è andata la riunione?», gli ha chiesto il giornalista. «Ma quale riunione», è stata la risposta in tono guascone di Pallotta, reduce invece da un Consiglio di amministrazione importante. È stato infatti approvato il progetto di bilancio chiuso a giugno con una perdita di 58,4 milioni (sarebbe di 54,8 milioni, ma poi vanno considerate le tasse…). Il grosso del buco sarà tamponato dall’aumento di capitale da 50 milioni. Lo ha chiarito la società nel comunicato diffuso in serata: «Le risorse necessarie saranno reperite attraverso un incremento dell’esposizione per anticipazioni su contratti in essere e con interventi degli azionisti, per come deliberato dall’Assemblea del 30 gennaio 2012». Oltre che nella generale crisi dei mercati, il club ha individuato le responsabilità di un passivo che si è appesantito di ulteriori 28 milioni rispetto al 2011 nella mancata partecipazione alla Champions. Nonostante l’evidente situazione di difficoltà, si legge nel comunicato, «la società ha comunque proseguito la propria strategia di sviluppo dell’area tecnica». La squadra. I numeri. Poi una cena. E che cena. Pallotta è stato ospite dell’avvocato Cappelli, vicepresidente della Roma e ponte tra Unicredit e il club, in un elegante villino nel cuore dei Parioli. Gli ospiti? C’era la Roma. C’era Pannes, c’erano Baldini e Sabatini, Fenucci e Baldissoni, c’erano il socio americano Alex Zecca e il responsabile della sicurezza Guido Gombar.Ma c’era anche Roma. La città. Quella che conta. C’erano i costruttori Parnasi e Toti e il presidente della Figc, Abete. E c’era il sindaco Alemanno. Chissà, magari tra una portata e l’altra potrebbe essersi discusso anche dello stadio di proprietà. Per il presidente è una priorità. O meglio, a giudicare dai dati di bilancio, lo è per la Roma.