Il brivido che scuote l’Olimpico all’annuncio delle formazioni è superiore a quello che aveva accolto nel rimbombo degli spalti semivuoti la Storia disposta sul prato in giacca e cravatta. Questione di scelte e opportunità che non c’è tempo di considerare perché Banti fischia e l’Atalanta si getta famelica sul disorientamento giallorosso: torna Stekelenburg e trema la traversa, mani umane e divine preservano lo 0-0, se si dessero pagelle di mezz’ora in mezz’ora la prima farebbe risparmiare alle dirigenze della Roma il novanta per cento degli ingaggi. Poi accade che si torni a dar ragione a Darwin, perché non c’è miglior selezione naturale di quella decretata dalla dolcezza dei piedi: Totti dal limite dimostra di conoscere il punto G della palla e serve a Lamela, nel varco, la piuma di Forrest Gump: caramboletta del Coco e angolino sonnacchioso, uno a zero d’incredulità e un boato che si porta appresso il sospiro di sollievo. La Roma comincia lì, qualcosa concedendo ma tanto, quel tanto finora mai visto, comincia a regalare, come quando Totti-Balzaretti-Lamela-Destro entrano nella filastrocca del quasi goal: arriva l’unico pareggio a cui l’Atalanta non tiene, quello delle traverse. Non è ancora una squadra di Zeman, non del tutto e si vede quando il pallone si aspetta un po’ troppo e gli spazi non vengono aggrediti come il manuale suggerisce; c’è però il mordente e si vede complessivamente una corsa più sciolta, più leggera, soprattutto dopo che Bradley rende giustizia all’impegno e alla tenacia con cui Destro va a cercarsi occasioni i progressi, vanificando l’attenzione perenne di Consigli. Totti, non vogliamo essere ripetitivi: si carica lo stadio sulle spalle e ne capovolge gli umori, dall’inizio alla fine. Rosse le gote di Florenzi, imporporate dall’essere stato in partita fino a che l’agonismo si è sciolto nell’emozione di un tributo da quello che è già il suo stadio. Sorrisi anche in panchina, magari un po’ beffardi e tirati: pomeriggi come questi devono servire ad unire, non a dividere. A maggior ragione se sotto lo sguardo di Falcao.
Paolo Marcacci