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IL ROMANISTA Per De Rossi è Roma-Inghilterra

De Rossi in nazionale

(I. De Lillo) – Molto più importante di una partita dei quarti all’Europeo,molto più di Italia-Inghilterra, per un romano e romanista come Daniele De Rossi, c’è solo… Roma-Inghilterra. Quella di questa sera è la partita di De Rossi perché gli inglesi li ha affrontati col sangue agli occhi in passato con la maglia della Roma e sia in campo, sia fuori ne è stato protagonista, nel bene e nel male.

E ha un ricordo netto di tutto, soprattutto di “quelle” sconfitte. Nel destino di Roma, e per sillogismo anche nel destino di De Rossi, non c’è mai stata fortuna contro gli inglesi. O poca, a parte una finale troppo lontana col Birmingham (la nostra Coppa delle Fiere) e successi di tappa (come il Chelsea con Spalletti ma solo all’Olimpico). Quando Vico parlava di corsi e ricorsi storici non voleva dare sfoggio della sua capacità di filosofare, ma stava rivelando una scomoda verità. La storia si ripete e lascia cicatrici.

Dal quel doloroso 30 maggio 1984 in cui il Liverpool ha ammutolito l’Olimpico nella finale di Coppa dei Campioni, la prima conclusa ai rigori, conclusa male. La ferita che ha lasciato Roma-Liverpool del 1984 è il dramma romanista. Di sempre. E per sempre. De Rossi aveva appena dieci mesi, non poteva ancora essere in campo per trascinare la squadra, ma da romanista sa cosa ha significato e sa ancora cosa significa; da protagonista ha vissuto il seguito della storia che ci lega agli inglesi, come quel maledetto Manchester United-Roma del 10 aprile 2007.

Ventitré anni dopo De Rossi non è stato solo protagonista, è stato il volto, il nome, la foto a colori di un mortificante 7-1 in cui per i romanisti è tutto da dimenticare, ma un nome è rimasto indelebile nel cuore, il suo. Tonino Cagnucci nel suo libro su De Rossi, Il mare di Roma (Edizioni Limina, 2009) ha raccontato così quella serata: «Sette a uno è un risultato da capirci per non morirci dentro. Sette significa tanto (i sigilli, le spose per i fratelli, quelli a Tebe, i samurai, i gol del Manchester…), basta uno qualsiasi per capirlo. Basta uno: Daniele De Rossi.

Il gol è suo. Nella partita peggiore della storia romanista lui ci mette nome e cognome nel tabellino. Come a dire “Se ci sto qui ci starò sempre. Come a dire: “Io ci sono sempre, io ci sarò fino a quando si tratta di esserci, finché ce n’è e anche se non ce ne sarà più, comunque con questa maglia addoso mi troverete”. C’è qualcosa di più poetico che segnare sullo 0-6 a 21 minuti dalla fine? Al confronto i violinisti del Titanic sono degli speculatori di Borsa. Fra l’altro è un gol bellisssimo che lui accompagna senza alcun gesto di commento. È la definizione dell’inutilità e della bellezza: un gol solo per la Roma e null’altro. Puro amore». De Rossi sa bene cosa vuole dire darsi per quello che ami, dentro e fuori dal campo, ma – forse anche per questo – capita anche ai migliori di sbagliare, anche a quelli abituati ad essere gli eroi della situazione ed è quello che è successo a lui sempre contro il Manchester, sempre in una partita di Champions. Sempre con la Roma, ovviamente.

Ancora lo United, sempre all’Old Trafford. Era il 2 ottobre 2007, si era sullo 0-0 quando Capitan Futuro ma mai come in quel momento capitano e basta) sparò al cielo un calcio di rigore. Si mise la maglietta della Roma in faccia quasi a non voler vedere. Ma sentì. Sentì soprattutto i tifosi della Roma volati in Inghilterra anche per lui: applausi e cori per lui, solo per lui fino alla fine. «E’ stato il momento più toccante da quando sono alla Roma – disse De Rossi dopo quella partita – . Tra me e loro c’è un legame che va oltre un calcio di rigore, qualcosa di forte che nasce da lontano».

E da quel momento in poi di strada ne ha fatta, è cresciuto, ha maturato tutti i suoi talenti e l’Inghilterra è tornata ad insinuare il suo destino senza però renderlo di nuovo protagonista: Roma-Arsenal del 2009 è stato costretto a vederla da fuori per squalifica ed è finita nello stesso modo: fuori ai rigori, proprio nell’anno in cui a Roma si sarebbe rigiocata la finale. È la storia di Roma-Inghilterra a spiegare perché questi quarti di finale di stasera hanno per De Rossi un retrogusto particolare, seppur con la maglia della Nazionale. «Ci ho pensato – ha detto Daniele tre giorni fa da casa Italia -, è vero che con le squadre inglesi non ho mai avuto tanta fortuna. E questa è la mia prima volta: non ho infatto mai giocato contro le nazionali inglesi, neanche con le giovanili azzurre. Sono orgoglioso, felice, eccitato di affrontare una delle nazionali storiche del calcio mondiale».

Inoltre nonostante ad allenare l’Inghilterra ci sia Hodgson, questa squadra l’ha plasmata un italiano, quel Fabio Capello che lanciò in prima squadra De Rossi e che ha lasciato la Roma uscendo dalla porta secondaria. Si tratta sempre di destini incrociati: un po’ di calcio italiano costituirà l’Inghilterra, così come un po’ di calcio inglese costituisce l’Italia, il calcio del baronetto De Rossi. Molti, e non a caso, lo hanno accostato a Gerrard, perno del centrocampo inglese e del Liverpool.

Per De Rossi Gerrard è «l’idolo di sempre è il simbolo del giocatore universale. Lo trovi in difesa, poi a centrocampo, e in ogni azione in area lui c’è». Anche De Rossi ci ha abituati a vederlo in qualsiasi zona del campo, e se stasera giocherà in difesa a centrocampo, resterà il giocatore onnipresente di sempre. Cos’ha da invidiare l’Italia all’Inghilterra, se può contare su un giocatore come De Rossi che gioca all’inglese e ha cuore romano, un cuore grande che vale per undici? Daniele conosce bene i “precedenti”, giocherà a nome dell’Italia, per l’Italia, con la maglietta azzurra, ma sempre con «la testa e con il cuore a Roma» perché «detto tra noi Roma-Liverpool resta una ferita che nessun Italia-Inghilterra potrà rimarginare». Parole sue.

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