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IL ROMANISTA De Rossi, Mou è un avversario

D. De Rossi

(D. Galli) Alla fine ce l’hanno fatta, si sono incontrati, si saluteranno certamente, si stimano di sicuro. Accadrà stanotte, quando a Washington saranno le 20, a Londra l’1 e a Roma un’ora più tardi. Uno allena il Chelsea, anzi lo riallena e voleva l’altro già quando allenava il Real Madrid. L’altro gioca nella Roma, e fino a un mesetto fa non era affatto scontato che nella Roma avrebbe continuato a giocare (in realtà non lo è nemmeno adesso, ma quantomeno ora è molto più probabile). Oggi non c’è tema più banale eppure attuale di questo, del confronto tra Mourinho e De Rossi, tra lo Special One e lo Speciale Sixteen, tra il tecnico forse più ricercato al mondo e il centrocampista che proprio quel tecnico ha ricercato probabilmente di più in carriera.

Chelsea-Roma ha sempre un sapore speciale, anche se è calcio d’estate, è calcio che non vale per classifiche, qualificazioni, botteghini e diritti tv. Però è uno scorcio di storia romanista, è amarcord, è una piacevolissima associazione di idee: c’è anche Daniele De Rossi in quella Roma di Spalletti che al 13’ di un secondo tempo di coppe e di campioni si trova sul punteggio di 3-0. Clamoroso: per noi. 3-0 per noi. Il gol di Terry, per loro, allevia appena le critiche del giorno dopo della stampa targata UK. È il 4 novembre 2008 ed è un’immensa illusione. Perché quella Roma di una notte clamorosa di coppe e di campioni sarebbe rimasta con i campioni ma, da quel giorno in poi, non avrebbe sollevato coppe. Nemmeno una. Avrebbe fallito ogni obiettivo, si sarebbe disintegrata, o meglio avrebbe collassato su se stessa: sesta a fine campionato, poi due sconfitte su due in quello nuovo e relative dimissioni dopo 5 anni di Roma del futuro Zar di San Pietroburgo.

Il giocattolo s’era rotto, ma quella notte di novembre profumava talmente tanto di sogno che nessuno avrebbe potuto prevederlo. O forse sì? Colpa di tanti, non di uno solo, ma colpa soprattutto della tentazione Chelsea. Già. Colpa di uno Spalletti che a giugno 2008 si incontra per caso con Ancelotti al Four Seasons George V. A Parigi. Entrambi stanno per essere esaminati – si fa per dire – da un Abramovich alla ricerca di un padrone per la panchina dei Blues. Divenuto pubblico, il siparietto ha effetti devastanti per la Roma. Non per la società: per la squadra, che si sente tradita. Che si sente abbandonata. «Ecco l’allenatore del Chelsea…». De Rossi fulmina così il suo tecnico, nel post Italia-Francia. In diretta tv. Sono gli Europei, è il 2008. Sono trascorse solo poche settimane da quell’incrocio di destini e la Roma, quella Roma che mesi prima faceva divertire planetarie platee di calciofili, non è più il presente. Sta per diventare il passato.

Trascorrono gli anni, cambiano gli scenari e i tecnici, mutano le proprietà. Il Chelsea resta però sempre una tentazione potente, per dirla alla Sabatini. Lo è anche di più quando a Londra (ri)approda Mourinho, che insegue De Rossi già da qualche anno, che lo vuole al Real e lo vuole poi ancora di più quando torna a Stamford Bridge. C’è la possibilità di prenderlo, stavolta. C’è, perché De Rossi a Roma sente di non essere più amato, è contestato, c’è chi lo considera un problema. Cose, parole, pensieri che non sfuggono all’animo forte ma sensibile di un calciatore considerato fino a pochi anni fa il Capitan Futuro. Un’offerta giunge a Trigoria – stando ai rumors – ma viene giudicata troppo bassa, secondo qualcuno. Secondo qualcun altro, invece, è Garcia a bloccare il trasferimento. Fatto verosimile, perché in conferenza stampa queste sono le parole dell’ex allenatore del Lille: «De Rossi è un grande calciatore e sicuramente è meglio averlo con noi». Daniele legge e risponde così: «Sono contento che il mister abbia fiducia in me». Leggono anche a Londra, dove hanno capito l’antifona e hanno riposto nel cassetto il blocchetto degli assegni.

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