(R. Beccantini) Nils Liedholm, maestro di calcio e di vocali («iocare», «iocatore»), sosteneva che lo schema è quella cosa che, provata in partita, riesce perfettamente in allenamento. Sostituiamo schema con rotazione e avremo lo stesso risultato: dipende dai risultati. Rotazione, cioè turnover: il mantra del terzo millennio, legato com’è alla moltiplicazione dei pani-impegni e dei pesci-organici. La classe giornalistica si pone di fronte alle formazioni «grand hotel» – titolari che vanno, riserve che vengono – con il piglio ambiguo della categoria che ha il terrore di lasciare sul campo la faccia. Scrivere che l’allenatore tal dei tali farebbe bene, dato il calendario, ad avvicendare gli interpreti, significa prendere posizione: e se poi un episodio la butta giù dal letto? Vigilia di Argentina-Italia, Mondiali del 1978. Spennate Francia e Ungheria, in palio non restava che la sede della seconda fase. Chi vinceva, sarebbe rimasto a Buenos Aires; gli sconfitti sarebbero finiti a Rosario. D’accordo con Menotti, Bearzot era orientato a un massiccio trapianto: fuori il blocco Juve, dentro il blocco Toro. Quando seppe che il collega aveva cambiato idea, la cambiò anche lui. Morale: giocarono i titolari, vincemmo 1-0 grazie a un superbo gol di Bettega su colpo di tacco di Paolo Rossi, ma sciupammo fior di energie, pagate poi nella sfida-chiave con l’Olanda e nella finale per il terzo posto, con il Brasile.
Agli Europei inglesi del 1996, la Nazionale debuttò regolando la Russia per 2-1. Al varco, si profilava la Repubblica Ceca di Nedved. In questi casi, l’esperienza consiglia di ricorrere alla formazione tipo, e soltanto dopo, a missione compiuta, mescolare le carte. Sacchi ne sostituì cinque, addirittura: a cominciare dalla coppia d’attacco, Chiesa e Ravanelli al posto di Zola e Casiraghi. Si perse 2-1. Contro la Germania, nella terza e ultima tappa, tornarono i pezzi grossi, ma Zola si fece parare un rigore e la nostra avventura finì lì. Zoff memorizzò il disastro e, nell’edizione del 2000, liquidò Turchia e Belgio prima di rivoltare l’assetto contro la Svezia, per battere la quale bastarono le seconde linee.
Turnover. Conte lo ha fatto all’Olimpico, nei quarti di Coppa Italia. Storari, Isla, Peluso, Quagliarella, Giovinco: mezza squadra, mica un restauro qui e un ritocco là. Un’acrobazia di Gervinho portò la Roma oltre la Juventus. Apriti cielo. Le trasfusioni, esagerate, fecero di Conte un allenatore miope, senza visioni romantiche. Voce dal fondo: avrebbe dovuto dar respiro a Tevez e «ai» Tevez in campionato, non in un’ordalia così delicata. Molti di noi, quorum ego, preferirono attendere il cadavere sulla riva del fiume. E nessuno volle o seppe cogliere, nelle scelte del mister juventino, la volontà – e non già l’arroganza – di fornire un’opportunità a quei precari di cui tanto si parla.
Ecco: si comincia sempre dalla fine, in materia di alternanze e dosaggi.Da come è andata la partita, al netto delle moviole e dei dettagli. Sono rare le analisi che studiano lo scarto senza innalzarlo a dogma assoluto. Magari le staffette erano tatticamente corrette; non altrettanto la freddezza sotto rete. O viceversa. Tirando le somme: nelle rose scarse non c’è libertà di turnover; nelle rose dotate, non c’è libertà dal turnover.